Il centrocampista argentino, da anni nel nostro Paese ora alla Viterbese, si racconta.

Matias Cuffa, centrocampista Viterbese (foto: tusciaweb)

Matias Cuffa, centrocampista Viterbese (foto: tusciaweb)

Matias Cuffa, grintoso centrocampista argentino, è in Italia da 14 anni ed ha avuto diverse esperienze in club di C1 e C2. Le stagioni migliori della carriera le ha vissute a Padova, 5 anni in serie B: dopo aver vestito la maglia del San Marino (Lega Pro girone B) nella seconda parte della scorsa stagione, ad agosto ha accettato la proposta della Viterbese (serie D, girone G).

Allora Matias, al termine del girone d’andata Viterbese quarta a 3 punti dalla capolista Rieti, siete la squadra meno battuta del girone (solo 2 sconfitte) e la miglior difesa (11 reti subite, come il Rieti): bilancio abbastanza positivo…
“Sì, il bilancio è sicuramente positivo. Siamo una buona squadra, il mister ha un buon organico a disposizione, stiamo lavorando bene. Peccato per l’ultima partita in Sardegna, dove abbiamo perso all’ultimo secondo (Arzachena-Viterbese: 1-0), ma il campionato è lungo”.

Quali sono gli obiettivi per il prosieguo della stagione?
“La società ha obiettivi importanti, cercheremo di fare meglio del girone di andata e conquistare più punti, ma sarà il campo a parlare”.

Sei un centrocampista con il vizio del gol (già 3 reti quest’anno), qual è la rete più bella che hai segnato?
“Difficile rispondere, ho segnato gol importanti quando vestivo la maglia del Padova in serie B e abbiamo sfiorato la serie A. Il gol in casa del Torino (Torino-Padova: 0-2) che ci ha consentito di conquistare i playoff e quello contro il Livorno (Padova-Livorno: 3-2) li ricordo con grande piacere”.

Il tuo soprannome è “El cabezon”.
“Perché ho la testa grande e dura (ride). Sono molto testardo, è stato mio padre ad affibbiarmi questo soprannome da bambino, poi hanno continuato anche i compagni di squadra”.

Sei argentino, ma ormai vivi in Italia da diversi anni: ti trovi bene qui?
“Sì, molto. L’Italia mi ha dato la possibilità di crescere tanto, non solo a livello calcistico, ma anche dal punto di vista umano e sarò sempre grato all’Italia”.

Qual è la squadra in cui hai militato a cui sei più legato, la città che ricordi con maggior piacere?
“Sono stato tanti anni a Padova, mi sono trovato bene, è la città in cui è cresciuto mio figlio ed è normale che si sia creato un legame particolare con la città”.

L’avversario e il compagno di squadra più forti?
“Ho incontrato tanti giocatori bravi nel corso della mia carriera, è una domanda a cui è molto difficile rispondere e non me la sento di dirti un nome in particolare. Ho giocato contro Dybala quando era al Palermo, potrei citare Perin, Pasquato, Vantaggiato ma ci sono tanti giocatori forti che ho conosciuto e rivedo con piacere che stanno facendo grandi cose in campo”.

7 agosto 2013, amichevole Padova-Sydney: tu eri il capitano dei biancoscudati, il capitano degli australiani era un certo Alex Del Piero.
“Stupendo. E’ stato bellissimo giocare quella partita (oltretutto vinta dal Padova per 3-2) e incontrare un grande campione del calibro di Alex Del Piero. Ci siamo scambiati la maglia, sono stati dei momenti davvero emozionanti”.

Raccontaci degli inizi della tua carriera da calciatore.
“In Argentina si gioca per strada, quando avevo 4 anni giocavo con i miei fratelli e cugini più grandi: sono cresciuto a pane e pallone. Non avevamo neanche le scarpe per giocare, ma sono i valori della vita che ti aiutano ad andare avanti. Ho continuato a giocare nella scuola calcio, poi a 14 anni sono andato via di casa e mi sono trasferito a Buenos Aires per vestire la maglia del River Plate. Quando l’Argentina ha attraversato il periodo di difficoltà economiche ho avuto la possibilità di trasferirmi in Italia”.

Chi era il tuo idolo da bambino?
Sicuramente Fernando Redondo ed anche “El Cholo” Simeone. Non li ho conosciuti personalmente, ma sono stati due grandissimi giocatori”.

Una volta appese le scarpe al chiodo, quali sono le tue intenzioni? Tornerai in Argentina?
“Per il momento penso a giocare finché ho entusiasmo e il fisico regge. Ho fatto il corso di allenatore, mi piacerebbe rimanere nel mondo del calcio, ma sono valutazioni che farò al momento opportuno. Smettere non sarà facile, già ora soffro quando sono costretto a stare lontano dal campo a causa di infortuni e non oso pensare quanto mi mancherà il campo da calcio una volta appese le scarpe al chiodo”.

Impossibile non crederti, Cabezon. In bocca al lupo!

Alessandro Marone