Enrico Albertosi, un portiere fenomenale, geniale e avventuriero al tempo stesso! Ha scritto la storia con il Cagliari, il Milan e l’Italia!

Enrico Albertosi

Ricky Albertosi(foto emozionecalcio.it)

Da sempre, il ruolo del portiere nel calcio ha trasmesso e regalato emozioni: il fascino dei grandi numeri 1 non ha eguali, l’estremo difensore è l’ultimo baluardo che ha sul groppone le responsabilità maggiori. Il centravanti o il numero 10 possono anche sbagliare qualcosa, il portiere mai! Dietro di lui il nulla, non c’è rimedio. Ecco perché l’identikit dei grandi portieri di tutti i tempi ci ha quasi sempre dipinto uomini e atleti che, indipendentemente dalla bravura, avevano un carattere impassibile, flemmatico, imperturbabile e quasi distaccato. Questione di responsabilità, appunto… Fra le eccezioni che confermano la regola c’è però un esponente di livello assoluto: il simpaticissimo Enrico Albertosi. Scopriremo che, nonostante quell’eccentricità che lo discosta dai canoni del portiere tradizionale, il popolare “Ricky” è considerato ancora oggi uno dei migliori di sempre in Italia nel suo ruolo. E, aggiungendo al talento le sue qualità di avventuriero del pallone, troviamo in lui una perfetta simbiosi, che lo rende ancora più interessante.

Ripercorrendo rapidamente tutta la sua vita, ci si accorge subito che il suo animo, magari intemperante e eccessivo, gli ha comunque dato più gioie che dolori. Insomma, l’ha aiutato… Enrico Albertosi, per gli amici Ricky, nacque a Pontremoli il 2 novembre 1939. Il padre era maestro elementare e, manco a farlo apposta, era anche il portiere della Pontremolese. Il piccolo Enrico passava le proprie giornate dietro la porta del genitore, studiando e imitando tutti i suoi movimenti. A 14 anni Ricky era già un portento fra i pali; reattivo e abile nelle conclusioni da breve e lunga distanza, capace di guizzi e interventi quasi miracolosi. La sua presa era ferrea e il suo stile, talvolta particolareggiato, era comunque efficace. L’Inter lo convocò per un provino che andò benissimo, tanto che la sua strada sembrava tingersi di nerazzurro. Tuttavia, durante il viaggio di ritorno, Enrico si fermò a La Spezia per un altro test precedentemente concordato. In Liguria sfoggiò nuovamente parate da vero campione e i tecnici, talmente incantati, gli fecero firmare un contratto all’istante, in pratica sotto la doccia! Per pochissimi giorni, quindi, Albertosi non divenne interista; anche a Milano, era pronto un accordo per tesserarlo.


Poco male, visto che lo Spezia rappresentò il suo grande trampolino di lancio: nel 1958 Ricky passò alla Fiorentina come riserva di Giuliano Sarti. A 19 anni l’esordio in serie A, senza incassare gol, in Roma-Fiorentina 0-0. Albertosi rimase coi viola per ben 10 stagioni, passando gradualmente da panchinaro a titolare inamovibile, con un rendimento positivo e fruttuoso alla causa viola. Vinse infatti due Coppe Italia e la storica Coppa delle Coppe del 1960/61. Nel 1968 passò al Cagliari, e coi sardi vinse lo storico scudetto del 1969/70. Un traguardo da leggenda e mai dimenticato: Albertosi fu, con Gigi Riva, uno dei punti fermi di una squadra capace di far impazzire di gioia un’isola intera.  Ricky quell’anno fu, in una parola, formidabile: in 30 partite subì soltanto 11 reti, un record! Albertosi e il Cagliari proseguirono insieme la loro avventura fino al 1974, quando il nostro portierone partì per Milano, sponda rossonera. Qui dimostrò, oltre alla bravura fra i pali, una longevità prevista da pochissimi; al Milan Ricky rimase fino al 1980 facendo in tempo, a 40 anni suonati, a vincere il suo secondo scudetto personale, quello della stella rossonera…

Il suo rapporto con la Nazionale fu intenso e ricco di capitoli, tutti da sfogliare con avidità. Albertosi, pur essendo in continua concorrenza col mitico Dino Zoff, disputò ben 4 campionati del mondo, di cui due da titolare. Nel primo, quello del 1966, fu particolarmente sfortunato: fu infatti una delle edizioni più nere per l’Italia, eliminata a sorpresa dalla Corea del Nord. E, in quel triste 19 luglio, fu proprio Ricky a subire lo storico gol del dentista Pak Doo Ik. Per fortuna, dopo l’umiliazione, arrivarono anche le gioie azzurre. Nel suo secondo Mondiale, quello del 1970 in Messico, fu un grande protagonista conquistando il titolo di vicecampione, perdendo solo col Brasile di Pelé in finale. Nella leggendaria semifinale con la Germania Ovest del 17 giugno, in porta c’era proprio lui, il grande Ricky Albertosi.

La sua carriera, a parte le ultime due stagioni di C2 con L’Elpidiense, si chiuse però in maniera non pulitissima nel 1980. Come altri campioni, Albertosi fu coinvolto nella triste vicenda del calcio-scommesse; insomma, un pasticcio peggiore di un autogol… Lo scandalo gli procurò una pesante squalifica e tantissime critiche. Del resto, Albertosi era il tipo giusto per cascarci: il classico atleta un po’ matto, un uomo da 20 sigarette al giorno, che proclamava i benefici del sesso prima di una partita. Inoltre, frequentava assiduamente gli ippodromi e non disdegnava il tavolo da poker. Ma, detto questo, non possiamo di certo dimenticare che sul campo Ricky è stato un grande atleta, uno straordinario portiere che ha scritto la storia del calcio italiano.

Lucio Iaccarino