Giocò in attacco con Inter e Napoli, ma non marcò neanche un gol! Caio, con i suoi modi garbati e gentili, ora è diventato modello in Brasile!

Caio Ribeiro Decoussau

Caio (foto Storiadelnapoli.com)

Fin dal principio è stato un calciatore brasiliano atipico, sotto svariati punti di vista. Tanto per cominciare, non era povero ma proveniente da una famiglia benestante, quasi ricca. L’infanzia di grandissimi campioni carioca è quasi sempre stata funestata da povertà e miseria, quasi un segno distintivo o una carta d’identità. Pane duro e favelas per i vari Pelé, Garrincha, Zico, Ronaldo, Romario e tanti altri: poi per fortuna il Dio del calcio (o magari quello vero) si è ricordato di ognuno di loro e ne ha benedetto i piedi, agevolandoli in carriere fantastiche e coprendoli di gloria. Caio Ribeiro Decoussau (San Paolo, 16 agosto 1975) non ha avuto, invece, il problema della fame ma è chiaro che di questo non è colpevole, anzi. Tuttavia, ed è un dato di fatto inconfutabile, lui ha fatto il percorso inverso degli altri, rimanendo nel purgatorio degli attaccanti, quelli che si dimenticano subito. Si faceva chiamare semplicemente Caio, e qualcuno qui in Italia sta ancora ridendo: forse Inter e Napoli avrebbero dovuto acquistare Tizio e Sempronio al suo posto.

Caio era esploso in un mondiale Under 20 con la maglia del suo Brasile; rapido e veloce, si era distinto come un attaccante completo e capace di andare a segno da ogni posizione. In più poteva giocare sia da prima che da seconda punta, sintomo di estrema versatilità. Faccia pulita (forse anche troppo), sembrava un bambino di dieci anni che si avviava alla prima comunione e meritò il soprannome di “Dottorino”, proprio perché in lui aleggiavano sguardi rassicuranti e atteggiamenti molto seri. E poi sembrava nato per fare gol, non male per un ventenne.

Il fin troppo spendaccione Massimo Moratti, presidentissimo dell’Inter, lo acquistò dal San Paolo per quasi sei milioni di dollari ed era certo dell’affare. Ma, purtroppo per lui, gli unici davvero contenti dell’approdo di Caio in serie A furono i difensori avversari che se lo ritrovarono davanti, quasi spaesato e a dir poco inconcludente. Il brasiliano era timido come un pezzo di burro e smarrì quella via del gol che così bene conosceva da ragazzino: Caio divenne un Dottorino senza laurea e fu prima rimandato e poi bocciato… Nell’Inter, in cui c’era l’eterno Bergomi mentre si affacciava alla ribalta la leggenda di Zanetti, Caio non riusciva a far gol neanche in allenamento. E infatti l’allenatore Roy Hodgson lo schierò in campionato soltanto 6 volte, preferendo la sostanza e l’esperienza dei vari Ganz e Branca. La dirigenza interista, che ormai stava già annusando l’aroma inconfondibile del bidone, provò a girarlo in prestito la stagione successiva al Napoli.


Con i partenopei le cose non andarono meglio, anzi… Caio giocò qualche partita in più (20, quasi tutti spezzoni) ma non diede mai un contributo sufficiente alla causa. In attacco nel Napoli giocarono in prevalenza Nicola Caccia e Alfredo Aglietti che, con tutto il rispetto, proprio fenomeni non erano. Tirando le somme, e considerando che un attaccante vive per il gol, il triste record di Caio nelle sue avventure con Inter e Napoli è a dir poco eloquente. Reti in serie A: zero… Però il brasiliano, forse per rimanere coerente fino in fondo, quando fece le valigie per rientrare in patria aveva ancora quel sorriso da bravo ragazzo che lo aveva sempre contraddistinto. Insomma, Caio fu un campione di buona educazione e self control. Meglio di niente…

Essendo ancora piuttosto giovane, il Dottorino trovò ancora ingaggi in diversi club brasiliani, alcuni di prestigio come Flamengo, Santos e Gremio. Per sua fortuna, riuscì talvolta a non ripetere quel fastidioso “zero” alla voce gol segnati e qualche magra soddisfazione riuscì a coglierla. Provò nuovamente un esperienza europea, nel semisconosciuto Oberhausen (serie B in Germania), ma fu un altro flop e i teutonici si sono gioiosamente dimenticati di lui. Il calcio, pur rimanendo la sua passione preferita, era diventata una cosa più grande di lui e dovette farsene una ragione. Nella custodia dei suoi ricordi più dolci, però, resteranno per sempre le sporadiche ma concrete soddisfazioni giovanili targate Seleçao, la mitica nazionale brasiliana. Caio segnò 3 gol in 4 partite con la selezione maggiore e 5 reti su 7 apparizioni con quella Under 20.

Dopo il calcio, fu subito folgorato da una splendida illuminazione: diventare un modello. Anzi, forse l’unico cruccio fu quello di non averci pensato prima… Curando (ancora di più) il suo senso estetico, indossando sempre vestiti eleganti e di gran classe, Caio si è lanciato con impeto nell’intrigante e affascinante mondo della moda. In fondò gli andò abbastanza bene e, con buona volontà e l’aiuto di qualche amico, ha fatto più strada nelle passerelle che in un campo di calcio. Talvolta qualche emittente brasiliana lo ha scelto come commentatore o telecronista delle partite del massimo campionato, ma forse in questo contesto Caio non avrà un futuro radioso. Già, perché in questo tipo di professione (e in Italia ne sappiamo qualcosa), per avere credito con un microfono in mano si deve essere cinici, spietati, quasi scostumati. Caio, invece, è sempre educato e signorile in ogni situazione; proprio non riesce a parlar male di nessuno. E tutto ciò, nell’agguerrito mondo della TV, è quasi un delitto…

Lucio Iaccarino