Giuseppe Meazza, vinse due titoli mondiali e incantò tutto il pianeta con i suoi gol. Meazza è un simbolo del calcio italiano, immortale come lo stadio di Milano…

Giuseppe Meazza

Giuseppe Meazza (foto:magliarossonera.it)

Quando si leggono recensioni, oppure quando si ascoltano interviste datate che hanno come protagonista il calcio del passato, si può spesso cadere in errore. I giovani sbuffano quando sentono storie sui pionieri del pallone, con avvenimenti epici e quasi irreali su personaggi leggendari e sulle loro gesta. I grandi esagerano? Beh, ammettiamolo, qualche volta i ragazzi  non hanno tutti i torti… Non è certamente il caso di Giuseppe Meazza, dove forse le parole e i racconti da soli non possono bastare. La sua grandezza è quasi inenarrabile, ma possono aiutarci degli aneddoti. Meazza divenne un modo di dire, essere un Meazza significò essere un asso, giocare alla Meazza, segnare gol alla Meazza, vivere seguendo sempre lui come punto di riferimento! Fu l’attaccante più geniale e formidabile della nazionale italiana di calcio fra il 1930 e il 1938; in una squadra di marziani (termine tanto caro ai giovani di oggi) vinse per due volte la Coppa Rimet. Fu l’unico a giocare tutte le partite dell’Italia nei due trionfi iridati: le sei del 1934 e le quattro del 1938.

Il piccolo Pepin Meazza, milanese del quartiere di Porta Romana, nacque il 23 agosto del 1910 e si avvicinò al gioco che poi lo rese famoso quasi per fare un dispetto a mamma Ersilia. La povera donna, quando vedeva il suo bambino colpire con i piedi un pallone improvvisato, si arrabbiava di brutto! Rischiava, e in fondo aveva ragione, di rovinarsi le scarpe e tutto ciò sarebbe stato un grosso guaio. Quella dei Meazza era una famiglia di operai; nel 1918 il padre Annibale, appena rientrato dal fronte per una convalescenza, era morto a soli 34 anni e la madre dovette cambiare casa e lavorare duro.


Pepin risolse a modo suo, quello di un bimbo sveglio, il problema delle scarpe… Per non far torto alle premure della madre, giocava a calcio coi compagni assolutamente scalzo. Andava alle elementari sempre con quella palla fra i piedi e faceva il tifo per il Milan; si divertiva e migliorava giorno dopo giorno. Proprio il Milan, però, gli procurò una grossa delusione bocciandolo al primo vero provino della sua vita. Troppo magro e gracilino, dicevano… Allora Pepin si rivolse all’Internazionale e trovò un posto fra i boys nerazzurri. Nei primi test era addirittura terzino, dimostrando subito una spiccata duttilità; pesando troppo poco fu successivamente dirottato come centravanti. Scelta giusta e definitiva…Dai ragazzi agli allievi, poi riserva della prima squadra e infine titolare; Giuseppe Meazza bruciò i tempi come un cane che azzanna l’osso, ma anche rapido e tranquillo. Fu il mitico Fulvio Bernardini il primo a credere in lui, abile nel convincere il suo braccio armato Arpad Weisz (l’allenatore dell’Inter) a saggiarne le qualità in campo.

Pepin Meazza esordì quando aveva appena 17 anni e, soprattutto per questo, gli rimase addosso l’etichetta di Balilla. Tanto giovane e tanto bravo; balilla, cioè ragazzo, e così fu sempre ricordato perché in fondo il suo talento cristallino era destinato a non tramontare mai, a non invecchiare. Quello che colpiva subito in Meazza era il senso mirabile della misura, la sua freddezza sottoporta. Fu il primo vero calciatore polivalente nella storia del calcio italiano, un attaccante che sapeva fare tutto e bene! Anche in tenera età, Meazza era sempre lucido, pronto nello scatto, rapido e sgusciante con la palla al piede e abile nel palleggio. Un vero genio e una persona seria e moralmente inattaccabile: le caratteristiche dei fuoriclasse di una volta…

Dal 1927 al 1940 Meazza divenne l’emblema e la bandiera dell’Inter (da ricordare che nel 1929 diventò Ambrosiana Inter) totalizzando in tutto 348 presenze con 245 gol; Milano impazziva per Pepin! Conquistò due campionati, una Coppa Italia e ben tre titoli di capocannoniere (1929/30, 1935/36 e 1937/38); il selezionatore della nazionale azzurra Vittorio Pozzo sognava di costruire intorno a lui un’Italia vincente e amata dal popolo. Il suo sogno divenne magicamente realtà…

Fin dall’esordio con la casacca azzurra (doppietta in un Italia-Svizzera a Roma), Meazza intraprese quel cammino di gloria e celebrità che lo porteranno a vincere due Coppe Rimet. Nell’edizione casalinga del 1934 fu il capocannoniere della squadra con 4 gol, in una formazione epica. L’undici che conquistò l’iride contro la Cecoslovacchia a Roma il 10 giugno è costituito da nomi che messi assieme sembravano uno spartito musicale: Combi, Monzeglio, Allemandi, Ferraris IV, Monti, Bertolini, Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi.

Nel 1938 la trionfale replica in Francia, dove il selezionatore Pozzo si ritrovò fra le mani un altro campionissimo come Piola e un Meazza maturato e sempre determinante. Pepin fu promosso capitano in tutte le gare del mondiale,e i giornalisti francesi dell’epoca scrissero di lui: “Abbiamo ammirato un pittore del pallone!”. E Mastro Meazza infatti era un artista, un esteta: in campo una pennellata qua, una pennellata là, con i suoi lanci millimetrici a pescare l’infallibile cannoniere Piola (5 gol per il lombardo) e una fiumana di giocate sensazionali. Meazza, pur realizzando un solo gol (col Brasile in semifinale), fu comunque il pilastro su cui reggeva l’impianto di gioco di Pozzo: in finale stavolta fu l’Ungheria a crollare 4-2 e Parigi si colorò d’azzurro intenso! Due titoli mondiali: per Pepin un apoteosi da leggenda!

L’ottimo feeling con la nazionale italiana si interruppe dopo 53 presenze e 33 gol; per quanto riguarda i club Meazza, oltre all’Inter dove comunque chiuse la carriera nel 1946/47, accumulò esperienze di rilievo anche con Milan, Juventus, Varese e Atalanta. Del resto, le sue qualità erano oramai inculcate nella mente di tutti quelli che amavano il calcio: il suo scatto da fermo, la finta di corpo con gli avversari lasciati sul posto, l’invidiabile tecnica nel controllo di palla e i suoi colpi di testa… Già, il grande Meazza era perfetto anche in questo: incassava la testa fra le spalle e, inatteso, usciva fuori con l’incornata micidiale!


Il gol più bello di Meazza? Tanti, si rischierebbe di sminuirne o svalutarne qualcuno; fra quelli che però lui amava ricordare con gioia c’è quello al mitico spagnolo Zamora. Segnare una rete al più grande portiere dell’epoca, e per molti il migliore di tutti i tempi, era impresa ardua per chiunque. Anche Meazza, che se lo ritrovò per la prima volta davanti in un Italia-Spagna a Bologna, trovò serie difficoltà a superarlo. Diversi i tentativi e in diverse partite, fin quando Pepin lo impallinò in un’amichevole di club a Milano. Meazza prese palla e superò il centromediano con una finta; poi lasciò partire un poderoso tiro dalla distanza che l’ottimo Zamora, nonostante un volo plastico verso l’angolino alto alla sua destra, non riuscì a parare…

Archiviata la carriera agonistica, Giuseppe Meazza diventò allenatore e si dedicò, in particolare, al settore giovanile dell’Inter: fu proprio lui a scoprire Sandro Mazzola. Positive anche le sue esperienze con la nazionale maggiore (nel biennio 1952/53), l’Atalanta e la Pro Patria, mentre al Besiktas stabilì un nuovo record: fu il primo allenatore italiano a guidare una squadra straniera di livello.

L’amore per il calcio lo accompagnò fino alla fine: e quando Meazza morì, il 21 agosto del 1979, tutti gli italiani pensarono alla medesima cosa. Il giusto tributo per lui era soltanto uno: intitolargli lo stadio milanese. E l’anno dopo furono accontentati: dal 1980 lo stadio Giuseppe Meazza di Milano rende onore e gloria a un campione e a una leggenda che ha raggiunto così l’immortalità…

Lucio Iaccarino

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