Silas do Prado, centrocampista dai piedi buoni, in Brasile si era meritato la Seleçao. Ma al Cesena e alla Samp fu un talento a metà.

Silas do Prado (foto:fat-buddha.net)

Silas do Prado (foto:fat-buddha.net)

In una delle tante spiagge brasiliane, una simpatica e giovane giornalista carioca è riuscita finalmente ad incontrare l’ex calciatore che doveva intervistare per la sua rivista. La ragazza è sveglia e si accorge subito che il lavoro sarà difficile; Silas do Prado Pereira Paulo sta portando a spasso il suo cane e non ha molta voglia di parlare. Certo che ne avrebbe di cose da dire; è stato un trequartista di ottimo livello ed ha una discreta carriera alle spalle, mentre ora è un allenatore professionista con profili ed idee di gioco ben delineati. Forse parla poco perché, quando si hanno dei rimpianti o si convive con la nostalgia, è difficile trovare le parole giuste oppure si cerca di dimenticare quel qualcosa che ti brucia dentro. E queste interviste spesso riaprono ferite mai chiuse del tutto, proprio perché scavano nel passato. Inevitabilmente Silas, che da ragazzino aveva enormi potenzialità ma che non è riuscito a sfruttarle in pieno, dovrà rispondere alle domande che lo perseguitano da anni:“Perché non sei riuscito a sfondare? Qual è l’errore più grande della tua carriera?”

Silas approdò nel nostro campionato nel 1990, pochi mesi dopo il mondiale italiano, quello delle notti magiche di Schillaci e della Germania campione grazie a Matthaus e Klinsmann. Il nostro uomo, manco a dirlo, uscì dalla manifestazione sconsolato e insoddisfatto. Già, perché Silas si era meritato il posto da titolare nel Brasile e confidava nella vittoria finale. Era un centrocampista d’ordine che giocava sempre a testa alta, abile nel servire assist ai compagni d’attacco. Purtroppo per lui, il Brasile uscì agli ottavi di finale per merito dell’Argentina di Maradona e in molti dimenticarono le sue comunque positive prestazioni: in questi casi l’amarezza fa emergere soltanto i difetti.


Dopo il mondiale molti stranieri arrivarono in Italia e a Silas tocco il Cesena. I romagnoli puntavano ad un campionato tranquillo e chiesero al brasiliano il suo pane quotidiano: sfornare assist per i bomber Ciocci e Amarildo. Del resto era quello il suo mestiere e, ripercorrendo la sua carriera, ci accorgiamo che aveva sempre rispettato le consegne affidategli.

Silas era nato il 27 agosto del 1965 a Campinas ed era cresciuto calcisticamente nel Sao Paulo, club abituato a campioni e fenomeni assoluti. E lui non aveva mai tradito, totalizzando 57 presenze con 17 gol e risultando importante nella conquista del titolo nazionale del 1986. Il primo passaggio al calcio europeo, in Portogallo allo Sporting Lisbona, fu altrettanto proficuo: 47 presenze, 11 gol e un ottimo feeling con compagni ed allenatori. Da promessa a solida realtà, Silas si era distinto anche con la Seleçao: aveva vinto il mondiale Under 20 nel 1985 e la Coppa America del 1989 giocando quasi sempre da titolare. Con i suoi passaggi filtranti e i suoi spunti illuminanti, fu un prezioso aiuto per i vari Careca, Romario e  Bebeto che in quegli anni stavano per sfondare nell’olimpo del calcio mondiale. Cercando di essere il più lineari possibili, si può affermare che Silas era molto bravo, anzi bravissimo… Ma per sfondare definitivamente gli mancava sempre qualcosa… Cosa?

A Cesena stanno ancora aspettando… Silas giocò dignitosamente bene; a tratti confermò le sue doti in cabina di regia ma fu, suo malgrado, coinvolto nella mediocrità generale. In realtà la squadra romagnola era troppo carente, soprattutto in difesa. Così la stagione 1990/91 si trasformò presto in un calvario per tutti; appena 19 punti, penultimo posto e retrocessione in serie B. L’allenatore era il futuro campione del mondo Marcello Lippi, poi esonerato dopo il girone d’andata. Silas, che totalizzò 26 presenze correlate da tre gol (Torino, Pisa e Genoa), trovò in ogni caso un nuovo ingaggio l’estate successiva. La Sampdoria di Boskov, fresca dello storico scudetto, puntava a confermarsi al vertice e gli affidò le chiavi del centrocampo. Stavolta la squadra era competitiva e ricca di campioni come Vialli, Mancini, Cerezo, Pagliuca e Lombardo: per Silas una grande occasione!

Ancora una volta, il brasiliano all’inizio non demeritò: al debutto segnò un gol bellissimo a Cagliari e per i primi due mesi incantò il Ferraris con le sue giocate. Poi si spense pian pianino proprio come la sua Sampdoria che, dopo la sfavillante stagione precedente, dovette accontentarsi di un poco onorevole sesto posto. I doriani furono però protagonisti di un entusiasmante cammino in Coppa dei Campioni, arrivando addirittura in finale con il Barcellona di Cruyff a Londra. La storica sconfitta con i catalani, vittoriosi 1-0 grazie a un missile terra-aria di Koeman, viene comunque ancora oggi ricordata come la massima espressione calcistica toccata dal club di Genova. E purtroppo in quella mitica sfida Barcellona-Sampdoria il nostro Silas non entrò in campo neppure per un minuto.


Il brasiliano disse allora addio alla Samp e all’Italia, tornando in patria ma non trovando mai più pace… Cambiò infatti moltissime squadre, fra cui ricordiamo il Vasco de Gama e il suo primo amore, il Sao Paolo. Curiose e tutto sommato positive anche le sue escursioni nel San Lorenzo (in Argentina, dove raramente i carioca hanno successo) e nel Kyoto Sanga, club giapponese. Tuttavia in Silas cresceva sempre più quella cara vecchia amarezza per quei successi sperati ma mai arrivati: in particolare, nel 1994 il Brasile divenne campione del mondo per la quarta volta nella sua storia e Silas fu soltanto spettatore. Il selezionatore della Seleçao, Carlos Alberto Parreira, non lo prese mai in considerazione puntando su altri elementi. Per Silas (in totale per lui 34 gettoni e un gol col Brasile) fu un duro colpo: molti dei suoi coetanei e compagni, con cui aveva condiviso le gioie degli esordi, erano arrivati in cima al mondo e lui invece…

Abbandonata l’attività agonistica, Silas è diventato un buon allenatore in patria; ha guidato club di prima fascia come il Flamengo, il Fortaleza e il Gremio. La giornalista, che abbiamo incontrato all’inizio del nostro racconto, si disimpegna anche sulle domande che riguardano il lavoro attuale. “Quale squadra ti piacerebbe allenare un giorno?” Ma dallo svogliato Silas arrivano sempre e solo risposte scontate, spesso banali: “Bah, magari sarebbe bello guidare il Brasile…Oppure un grande club europeo!” Il resto sono monosillabi, frasi di circostanza e aria fritta. Alla fine, però, la madre di tutte le domande arriva nuovamente a scuoterlo: “Qual è stato l’errore più grande della tua carriera?”In spiaggia comincia ad intravedersi il tramonto, poi la sera. E col buio, quando cioè anche l’infelicità si fa dolce, arriva finalmente la risposta di Silas: “Facevo assist a tutti tranne che a me…”

Lucio Iaccarino

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