Il Bello di Notte ha incantato con Juventus e Polonia, ma si è fatto amare anche a Roma! Pur fallendo come allenatore, Boniek resta un vincente!

Boniek

Zibì Boniek(foto storiedicalcio.org)

I giovanissimi lo conoscono come uno dei migliori commentatori calcistici del panorama italiano, capace di esprimere sempre opinioni concrete, decise e con quel pizzico di ironia che non guasta mai. E, soprattutto, i suoi sono commenti di qualità, in quanto provengono da un autentico campione del passato che, a differenza dell’esercito di sapientoni presuntuosi che siamo costretti a sorbirci da anni in Tv, conosce e ama il calcio come pochissimi. La vita e la carriera del mitico Zbigniew Boniek si sdoppia fra la Polonia, la sua nazione, e l’Italia, che possiamo definire la sua patria adottiva.

Nel corso della sua poderosa carriera, l’asso polacco ha saputo interpretare tanti ruoli in attacco, e all’occorrenza poteva anche trasformarsi in abile centrocampista o tornante di grande dinamicità. Tuttavia, la sua arma micidiale era la velocità palla al piede: le sue incursioni e le sgroppate sulle fasce tagliavano in due qualsiasi difesa ed erano pane azzimo per i suoi compagni di reparto. E infatti, oltre a un cospicuo bottino di reti personali, Zibì ha sfornato tantissimi assist in carriera, confermandosi  l’uomo squadra ideale per tutti gli allenatori che ha avuto.

Zbigniew Boniek nacque a Bydgoszcz, una cittadina polacca nei pressi di Lodz, il 3 marzo del 1956. Iniziò a correre e a scappare dietro a un pallone nei primi anni settanta; poi una sana gavetta e, non ancora ventenne, l’approdo nelle serie B polacca nel 1974. L’anno dopo era già una delle stelle più luccicanti del Widzew Lodz, una delle più famose formazioni del suo paese. Un crescendo di fama e potenza lo portarono fino all’indimenticabile 1982, l’anno della svolta e della sua definitiva affermazione a livello internazionale. Con la nazionale della Polonia, infatti, Boniek disputò in Spagna un mondiale nettamente sopra le righe e trascinò i suoi alle semifinali del torneo. Un risultato storico, che fu spezzato proprio dall’Italia di Paolo Rossi e Bearzot. E in quella gara, peraltro, Boniek non c’era in quanto squalificato. Ma ormai Zibì aveva sfondato, e le sue indubbie qualità lo portarono nel campionato italiano, sponsorizzate da un suo grande ammiratore: il grande Giovanni Paolo II. Il papa che tutti hanno amato, polacco e amante dello sport come lui, fu fra i primi a gioire dell’arrivo del campione alla Juventus di Agnelli


I suoi celebri baffi e la chioma bionda inizialmente conquistarono tutti a Torino; oltre alla bravura in campo Boniek sapeva districarsi bene nel complicato mondo esterno. Ad esempio, imparò l’italiano in modo pressoché perfetto; era sciolto e scorrevole come un professore. Anzi, a dirla tutta parlava meglio Zibì che taluni calciatori nati a Milano o Roma. Con la Juventus griffata Trapattoni giocò per tre stagioni, divenendo un’ottima spalla per l’estro di Platini e vincendo praticamente di tutto. Insieme alla furbizia di Rossi, e con le qualità dei vari Cabrini, Scirea e Tacconi, il funambolico Zbigniew Boniek colse tante meritate vittorie, passando dal campionato (1984) a un cospicuo numero di trofei: Coppa Italia, Coppa delle Coppe, Supercoppa europea e soprattutto la Coppa dei Campioni. Certo, nessuno può dimenticare che proprio quest’ultimo successo fu macchiato dalla tragedia dell’Heysel, con un calcio di rigore decisivo (inventato dall’arbitro) proprio ai danni di Boniek. Era una gara senza senso, un successo sportivo quasi senza valore. Molto più significativo fu il gesto dello stesso Zibì, che decise di devolvere il suo premio partita, quasi 100 milioni di lire, alle famiglie delle vittime di questa infame tragedia.

Un difetto fu probabilmente la discontinuità, visto che spesso Boniek non riusciva a ripetere con costanza prestazioni sopra la media. L’avvocato Agnelli usava definirlo “bello di notte” perché giocava benissimo nelle serate di coppa per poi rendere meno nei pomeriggi di campionato. Nel 1985 cambiò aria, passando alla Roma per tre stagioni. Nella capitale, Boniek confermò e migliorò la sua versatilità e diede un ottimo contributo ai giallorossi, reduci dal tormentato addio del mitico Paulo Roberto Falcao. Vinse un’altra coppa Italia e sfiorò, dopo una cavalcata trionfante, lo scudetto del 1986 (fatale la sconfitta in casa col Lecce già retrocesso, per una beffa mai dimenticata). Nel 1988 Zibì lascia il calcio giocato prematuramente, visto che all’epoca aveva solo 32 anni. Le ambizioni, però, erano intatte e si lanciò subito in una nuova avventura, quella in panchina. Frequentò con successo il corso di Coverciano e divenne allenatore professionista di prima categoria nel 1990.

Se da calciatore si era dimostrato un vincente, Boniek in panchina scoprì il rovescio della medaglia: proprio nel 1990/91 fu ingaggiato subito dal Lecce in serie A ma arrivò un’amara retrocessione. La stagione successiva prese il posto di Salvemini sulla panchina del Bari dopo la settima di campionato, quando la squadra aveva solo due punti in classifica. Ancora una volta la serie B divenne una triste realtà, nonostante un’incredibile rimonta e un ottimo gioco espresso. Contesti poco favorevoli pure con la Sambenedettese e con l’Avellino; insomma il rapporto di Boniek con le panchine fu alquanto burrascoso. Successivamente ha intrapreso numerose attività, alcune parallele al mondo dello sport e altre di natura diversa, come quella di esportatore di vino italiano in Polonia. Sempre con la voglia di mettersi in discussione per riaffermare il vero volto di Zbigniew Boniek: quello di un vincente di razza!

Lucio Iaccarino