Passato alla storia del Milan per un gol nel derby, Hateley era il tipico centravanti inglese. Gran fisico e poca tecnica, patì i troppi infortuni!
La piccola grande illusione, o quel misto di convinzione e poetico realismo, divenne quasi una certezza per i tifosi del Milan il 28 ottobre del 1984. Ripercorriamo l’attimo: settima giornata del campionato italiano di serie A. E’ il giorno del super derby Milan-Inter, che si affrontano appaiate al terzo posto in classifica. Nel Milan in attacco c’è Mark Hateley, potente e possente centravanti inglese, alla sua prima stagione in rossonero. Il primo tempo si chiude col punteggio di 1-1, con Agostino Di Bartolomei che ha pareggiato al 33° l’iniziale vantaggio nerazzurro firmato da Spillo Altobelli dopo dieci minuti di gioco.
Il secondo tempo si trascina via piuttosto stancamente finché, al 63°, arriva il sospirato attimo fuggente… Pietro Paolo Virdis fa partire un cross dalla destra; è un pallone teso, che sembra difficilmente raggiungibile. Hateley, invece, stacca imperiosamente sovrastando un sorpreso Fulvio Collovati e colpisce la palla in piena fronte imprimendole una forza impressionante. Un gran gol sul quale Walter Zenga nulla può fare. Il Milan vince così il derby per 2-1; nella festa e nella gioia di questa importante vittoria, Hateley si ritaglia giustamente uno spazio importante. E tutti i tifosi rossoneri, reduci da tante amarezze, credevano di avere una solida certezza in più: quella di aver finalmente trovato un nuovo idolo venuto dall’Inghilterra. Credevano, appunto… Il suo fallimento, ad essere sinceri, non fu solo colpa sua; o comunque non in maniera totalitaria.
Mark Hateley nacque a Liverpool il 7 novembre del 1961. Figlio d’arte (suo padre era stato un attaccante con una buona carriera nella Premier League), si lanciò sin da ragazzino a capofitto nella carriera di calciatore; del resto, avendo un fisico possente e statuario, possedeva i tratti tipici del classico centravanti britannico. Dopo un proficuo apprendistato a Nottingham, cominciò a fare sul serio nel Notts County. Il suo debutto nel massimo campionato inglese, però, si concretizzò con la casacca di un’altra squadra: il Coventry City.
Era il 1978 e Mark, appena diciassettenne, dimostrò subito le sue qualità sotto porta e molti vedevano in lui una speranza concreta e una promessa del calcio inglese. Dopo cinque stagioni a Coventry , nelle quali il suo rendimento andò progressivamente aumentando, Hateley passò al Portsmouth nel 1983/84. Fu la stagione della sua definitiva esplosione in patria, con prodezze a raffica e con la lancetta dell’autostima che toccò livelli stratosferici. Pochi mesi dopo arrivò la grande occasione: Il Milan lo acquistò fra lo stupore generale, ma anche dopo un’accurata riflessione. C’è da premettere che quel Milan non era ambizioso e non puntava alle primissime posizioni in classifica; il club lombardo si stava infatti riprendendo dopo anni di sofferenza, persino in serie B. Ma, col ritorno in A, l’allenatore Nils Liedholm aveva deciso di puntare su questo giovane e acerbo centravanti britannico.
Iniziò alla grandissima: Mark Hateley, ribattezzato Attila, segnò al debutto in campionato, ripetendosi con la Cremonese (doppietta d’autore) e con la Roma e così via fino al già citato derby con l’Inter del frastornato Collovati. Riassumendo, nelle prime 7 partite aveva realizzato ben 5 gol, balzando addirittura in vetta alla classifica dei cannonieri mettendosi dietro campioni come Altobelli, Platini, Maradona e Rummenigge. Poi, purtroppo, il destino divenne crudele; l’11 novembre del 1984, nella trasferta di Torino, Mark si ruppe un ginocchio. Un dolore lancinante, sia sul piano fisico sia su quello psicologico. Venne operato prontamente e dai migliori specialisti ma, una volta tornato sui campi di gioco, non sarà lo stesso giocatore.
Rimarrà altre due stagioni al Milan ma con alterne fortune: poi, con l’avvento dell’era Berlusconi, Hateley finì nella lista di sbarco per essere sacrificato al posto di un certo Marco Van Basten… Certamente l’infortunio fu la causa principale del suo scarso rendimento complessivo nella nostra serie A, ma a voler essere cattivi c’è anche dell’altro. Ci riferiamo al suo modo di giocare, inizialmente redditizio ma a gioco lungo fin troppo scontato. Un campione deve dimostrare anche versatilità e possedere colpi diversi in situazioni diverse: Hateley, grandioso di testa ma mediocre in altri aspetti tecnici, non riuscì mai a cambiare marcia e ritmo al suo modo “inglese” di interpretare il calcio…
Nel 1987 passò al Monaco e nel torneo francese tornò a segnare con buona regolarità; poi ancora altri guai fisici che, nelle stagioni successive, gli impedirono di rendere al massimo. Nel 1990 l’approdo in Scozia con i Rangers di Glasgow, dove arrivò l’ennesima conferma che il calcio britannico era un po’ come il salotto di casa sua. In quattro stagioni, infatti, vinse quattro scudetti e il suo contributo fu fondamentale; Hateley era l’uomo in più di quei Rangers, capace di segnare e far segnare. Già, col passare degli anni era riuscito a diventare anche un gran rifinitore. Certamente in Scozia aveva trovato la sua dimensione ottimale (senza dimenticare le 32 presenze con 9 gol nella nazionale inglese) e chiuse la carriera fra applausi e titoli in bacheca. Peccato per il discorso a metà in Italia, dove in quelle famose 7 partite era partito alla grande. Poi arrivò quel maledetto infortunio che divenne uno scoglio e un avversario insormontabile, più duro di qualsiasi difensore…
Lucio Iaccarino
