Intervista esclusiva al difensore tedesco che ha giocato con l’Hellas dal 1987 al 1989, prima di passare alla Roma.
Noi di “Stromberg non è un comodino” siamo legati al calcio di una volta, questo ormai lo sapete. Ed è proprio con un personaggio di quel calcio che oggi parliamo. Era l’anno dei mondiali, quelli dell’86. Prendiamo a pretesto una canzone di Antonello Venditti (e cambiamo la data) per raccontare l’avventura di un terzino ventiduenne arrivato dall’allora Germania Ovest in Italia, per giocare con l’Hellas Verona.
Classe 1964, Thomas Berthold, dell’Eintracht Francoforte, si è fatto conoscere dal mondo intero proprio in occasione dei Campionati del mondo del 1986 in Messico, quando i tedeschi arrivano in finale anche grazie alle sue proverbiali sgroppate sulla fascia. Il giovane Thomas attira l’attenzione di molte squadre in giro per l’Europa, ma decide di rimanere un altro anno a Francoforte. Nell’estate 1987 cede alle lusinghe del Verona e decide di tentare l’avventura in Italia.
Noi di Tuttocalciatori.net l’abbiamo intervistato e gli abbiamo chiesto di parlarci della sua avventura veronese.
Può raccontarci come andò la trattativa che la portò in Italia?
“Antonio Caliendo e i dirigenti del Verona sono venuti a casa dei miei genitori e hanno presentato un’offerta concreta. L’Hellas era una squadra conosciuta in Germania perché ci aveva giocato Hans Peter Briegel. La Serie A era il campionato numero uno del mondo in quegli anni e tutti i top players giocavano da voi”.
Che altre squadre la seguivano?
“Otto Rehhagel mi voleva fortemente al Werder Brema, ma io ho fatto la mia scelta e sono venuto in Italia”.
Il suo rapporto con Verona come città e con l’Italia in generale com’è stato?
“La gente mi ha accolto molto bene, i compagni di squadra si sono dimostrati subito molto disponibili nei miei confronti, anche per aiutarmi nelle faccende pratiche della vita quotidiana. L’Italia è rimasta una seconda casa per me”.
Osvaldo Bagnoli: che ricordo ha di lui, come uomo e come allenatore?
“Era un allenatore molto in gamba e, sin dall’inizio, mi ha dato l’impressione di essere molto serio, come un tedesco”.
Qual è stata la partita che ricorda con più piacere della sua esperienza in Veneto?
“E’ difficile da dire, anche perché sono passati molti anni. Comunque le sfide contro la Juventus avevano sempre un sapore particolare: mi ricordo una nostra vittoria per 2-1 in casa, con me che superavo Cabrini sulla fascia e crossavo per Elkjaer che fece gol”.
Secondo lei, perché a Verona non ha reso per quanto ci si aspettava, cosa che poi ha fatto a Roma?
“Sono arrivato in Italia dopo un’operazione alla caviglia. La preparazione era diversa da quella che ero abituato a svolgere in Germania e, inoltre, ci vuole sempre un po’ di tempo per ambientarsi in una realtà nuova. A Roma ero già più maturo, come uomo e come calciatore”.
Quali sono i compagni con i quali ha legato di più?
“Avevamo un bel gruppo a Verona ed eravamo tutti molto uniti. Forse ero un po’ più in sintonia con Preben Elkjaer“.
A proposito del danese, quanto era forte da zero a dieci?
“Era tra gli attaccanti migliori del mondo”.
Emanuele Giulianelli