Intervista esclusiva con Pedro Pablo Pasculli, parlando di Lecce e del suo sogno: allenare in Serie A.

Pasculli e Bilardo festeggiano a Messico '86

Pasculli e Bilardo festeggiano a Messico ’86

Una telefonata che arriva da lontano, nello spazio e nel tempo. Ma anche da vicino.

No, non siamo impazziti: “Stromberg non è un comodino” ha per voi una perla, un’esclusiva per veri calciofili. Abbiamo intervistato Pedro Pablo Pasculli, attaccante argentino campione del mondo con l’Argentina a Messico ’86 e indimenticato bomber del Lecce tra il 1985 e il 1992. Oggi Pedro vive in Italia e, dopo il corso a Coverciano, aspetta una chiamata. Il suo futuro è su una panchina. Importante, perché se la merita.

Innanzitutto, com’è arrivato in Italia?

“C’è da premettere che negli anni ’80 il calcio argentino non era molto seguito in Europa. In Italia giocavano il mio amico Maradona e pochi altri, anche perché il regolamento consentiva di tesserare solamente due stranieri per squadra. Io giocavo nell’Argentinos Juniors, quell’anno vinsi il campionato e fui capocannoniere con 29 reti. La mia società mi disse che c’erano tre proposte per acquistarmi: una dalla Spagna, una dal Sudamerica e una dall’Italia che però veniva da una squadra di Serie B che ancora non era matematicamente promossa in A, il Lecce. A me piaceva l’Italia e l’idea di giocare nel campionato con Diego: così rischiai e accettai i giallorossi che, per fortuna, furono promossi!”

Il primo impatto col calcio italiano come fu?

“Difficile. Venivo da un calcio molto diverso: infatti passai dall’aver segnato quasi trenta gol in un campionato a fare un girone di andata senza realizzarne neanche uno. Nel girone di ritorno inizia ad ambientarmi meglio e misi a segno 6 reti che, però, non bastarono al Lecce per salvarsi”.

Così arrivò ai Mondiali, da retrocesso.

“Disputai delle ottime qualificazioni nel 1985. Accettando Lecce e vedendo l’andamento della squadra avevo paura di perdere i Mondiali dopo la retrocessione. Ero in ballottaggio con Ramon Diaz della Fiorentina. Lecce, perciò, fu per me un doppio rischio: per fortuna il ct Bilardo mi convocò, ricordandosi di quanto di buono avevo fatto nelle qualificazioni”.

Paradossale fu la sua situazione nell’86-‘87: Campione del mondo, oltretutto segnando un gol decisivo contro l’Uruguay, ma in Serie B con il Lecce.

“Rimasi in Serie B, sì. A quei tempi si vendeva poco; avevo due o tre squadre interessate a me, la Fiorentina soprattutto, ma Jurlano non volle vendermi. Se ho un rimpianto nella mia carriera è quello di non aver avuto la possibilità di giocare in una squadra italiana che lottasse per vincere”.

Che ricordo ha dei campionati di B?

“La Serie B era un campionato durissimo, all’epoca, davvero competitivo con squadroni tipo Bari, Sampdoria, Cremonese. In B si lottava sul serio”.

Come si è trovato con gli allenatori italiani?

“Benissimo con tutti, anche se quello che mi ha insegnato di più è stato sicuramente Carletto Mazzone”.

Nei ricordi dei tifosi leccesi il suo nome è legato indissolubilmente a quello di Barbas.

“Una gran bella coppia, ho un bellissimo ricordo di lui. Abbiamo rappresentato gli anni belli del Lecce e posso dire che abbiamo lasciato il segno nella storia di quella squadra!”


E di quel Roma-Lecce cosa può raccontarci?

“Eravamo matematicamente retrocessi: credo che la Roma ci abbia sottovalutato. Noi abbiamo disputato una partita tranquilla, con la mente sgombra non avendo nulla da perdere né da dimostrare. Il male, per loro, è stato andare in vantaggio, segnare subito perché da lì ci hanno preso sottogamba. Disputammo un partitone. In fondo questo è il bello del calcio, no?”

Il suo gol più bello in Italia?

“Per un attaccante i gol sono tutti belli, anche quello segnato di coscia su rimbalzo. In assoluto il gol che ricordo con più piacere è stato quello all’Uruguay ai Mondiali, ma quelli in Italia li considero tutti sullo stesso livello”.

Terminata la carriera di calciatore con la Casertana, lei ha deciso di rimanere in Italia. Perché?

“Ho sposato una ragazza italiana e nel 1989 abbiamo messo su famiglia e comprato casa. Così ho deciso di restare qui”.

Che allenatore è Pedro Pablo Pasculli?

“Mi piace che le mie squadre giochino un bel calcio. Amo giocare col trequartista, con giocatori di fantasia. Adoro il modo di giocare del Barcellona, anche se ieri sera ha perso col Bayern che, a mio modo di vedere, è la squadra del futuro: sovrapposizioni, pressing e passaggi. Il calcio dev’essere, prima di tutto, un gioco e un divertimento. Logicamente corredato dall’agonismo e dalla voglia di vincere”.

E dove vuole arrivare?

“Come tutti, in Serie A. Ho allenato in Albania, in Grecia, in Africa e so che un giorno riuscirò ad arrivare nella massima divisione anche in Italia”.

C’è qualcosa che bolle in pentola?

“Non in A, ma c’è. Devo fare prima esperienza in categorie professionistiche e poi buttarmi nella mischia. In fondo se hai delle idee tue, giocatori buoni, una bella società alle spalle e un bel settore giovanile puoi fare calcio ad alti livelli”.

Emanuele Giulianelli