Il mediano paulista, dall’aspetto non proprio idilliaco, giocò con Parma e Fiorentina ma è ricordato soprattutto per argomenti extra-calcistici. Come il suo primo lavoro…
Il suo film preferito probabilmente è “Il buono, il brutto, il cattivo” del romantico Sergio Leone che, in uno dei suoi tanti omaggi all’epopea western, in un certo senso omaggiava (ironicamente, s’intende) anche il nostro uomo… Amaral, infatti, ha addirittura due punti in comune con questa pellicola del 1966. La prima è che può immedesimarsi in uno dei protagonisti, cioè il brutto: per la conferma basta vedere qualche sua fotografia! In secondo luogo c’è la scena finale del film, col la sparatoria nel cimitero dove sono nascosti i dollari: ebbene, anche il cimitero è un anello di congiunzione con lui. Da ragazzo, infatti, aveva vissuto nella povertà e nell’indigenza e si arrangiò per molti mesi lavorando come becchino nel cimitero del suo paese. Grazie a Dio, arrivò il calcio a rinvigorire la sua esistenza e poco importa se viene giustamente inserito nelle meteore della nostra serie A.
Alexandre da Silva Mariano Amaral nacque il 28 febbraio del 1973 a Capivari, nei pressi di San Paolo. Con la palla fra i piedi era certamente un brasiliano atipico, visto che non era affatto predisposto al gioco fantasioso ed effervescente, tipico della scuola carioca. Si è già accennato all’aspetto lugubre del suo viso, che ovviamente non poteva incidere sulla carriera: piuttosto c’è da sottolineare che anche la struttura fisica (arrivava a stento ai 170 cm) non era quella di un Superman. Per fortuna aveva dei polmoni solidissimi, forse proprio per compensare tutto il resto.
Correva e braccava gli avversari senza stancarsi mai, tipico esemplare di mediano vecchio stampo. Questo ruolo lo strappò da un’infanzia povera e infelice, e l’investitura col glorioso Palmeiras fu la prima gratificazione della sua vita. Amaral era felice di faticare e sgobbare per i compagni (a quei tempi coi bianco verdi militavano campioni come Roberto Carlos ed Edmundo) e diede un discreto contributo alla vittoria di due titoli nazionali. Brutto fuori, ma bello dentro: questo era Amaral. Proprio un cuore d’oro: aveva una famiglia infinita, fra genitori, fratelli e una moltitudine di cugini e nipoti. Coi primi contratti professionistici aiutava ognuno di loro, distribuendo assegni e regali con magnanimità.
Quando poi qualche club europeo bussò alla sua porta, ovviamente il portafogli si riempì ancora in misura maggiore e per la felicità di tutti. In Italia Amaral arrivò nel 1996 vestendo la maglia del Parma ma purtroppo non si ambientò mai nella città emiliana totalizzando appena quattro presenze in serie A: oltretutto rimase penalizzato dal discorso extracomunitari e gli fu preferito Mario Stanic. Dopo qualche anno, fra una squadra e l’altra, ci riprovò a Firenze ma i risultati furono ancora una volta poco soddisfacenti (anche se in viola comunque vide il campo con maggiore continuità). I suoi problemi furono soprattutto di natura tecnica e non ambientale; il brasiliano infatti era benvoluto e amato da tutti, soprattutto nella Fiorentina. Aveva un carattere gioviale ed era realmente simpatico e disponibile con chiunque, e forse anche il suo aspetto fisico “grottesco” lo rendeva paradossalmente godibile… Purtroppo fu il rendimento a venire meno, con tante insufficienze in pagella: Amaral correva e s’impegnava sempre al massimo, ma raccolse solo critiche dai giornalisti sportivi.
Questo brasiliano di colore aveva un ottimo curriculum in patria e quindi dobbiamo, per l’ennesima volta, ripetere la filastrocca che il nostro calcio è diverso, stressante e troppo dipendente dal pressing (aggiungendo, poi, che non è per questo da considerare migliore…). Del resto Amaral giocò oltre trenta partite con la nazionale brasiliana e girò il mondo per anni col suo fidato amico pallone in valigia. Accumulò esperienze in Portogallo col Benfica, in Arabia Saudita con l’Al Ittihad, in Turchia col Besikstas, in Polonia col Pogon Stettino e persino in Australia col Perth Glory. Senza dimenticare le altre squadre brasiliane, pure di serie inferiori, con cui ha giocato fino al sopraggiungere dei quarant’anni. Ovviamente molti club faranno sorridere, ma tutto sommato questo istrionico avventuriero può essere soddisfatto della sua iperbole calcistica. E in bacheca Amaral può vantare 4 titoli brasiliani, un campionato turco, una Coppa Italia con la Fiorentina e una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atlanta del 1996. E il futuro? Nessuna certezza, come direbbe qualche antico molto più saggio di noi… Ma Amaral probabilmente sta pensando a progetti interessanti, magari nel sociale e sempre col pallone come effimero ma essenziale protagonista. Di sicuro avrà abbandonato il suo primo mestiere, quello del becchino: o almeno speriamo…
Lucio Iaccarino
