Qualche rimpianto e un pizzico di malinconia, ma anche gioie e trionfi per Luciano Provvidenza Chiarugi. Il grande amore con la  Fiorentina, poi Milan e Napoli…

Chiarugi

Luciano Chiarugi(foto storiedicalcio.org)

Ha gironzolato per la nostra cara vecchia Italia per lungo tempo, toccando blasonate squadre del Nord e l’assolato e passionale meridione. Senza dimenticare la più poetica città d’arte della Toscana; insomma, per lui viaggiare divenne quasi una missione, uno scopo tutt’altro che platonico. Anche perché dappertutto lasciò un buon ricordo, cadenzato da vittorie, gol e grande professionalità. Tuttavia Chiarugi si può identificare anche nella parola “rimpianto”, visto che probabilmente qualche piccola delusione ha condizionato la sua avventura calcistica. Non ha colpe specifiche, ma ascoltando la canzone degli 883 “Nord Sud Ovest Est”, che fa al caso suo non solo per i tanti itinerari della carriera, si possono estrapolare altre chiavi di lettura. Qualcosa è sempre mancato, nonostante la bravura e la caparbietà del campione vero

Luciano Chiarugi nacque a Ponsacco, nei pressi di Pisa, il 13 gennaio del 1947. Aveva ben due soprannomi: la “Freccia di Ponsacco” e “Cavallo Pazzo”. Il primo rievocava la sua velocità di base, essendo un’ala mancina (ma spesso giostrava anche a destra) fulminea e devastante per i terzini. Il secondo per la sua caratura psicologica, unita al talento estroso e geniale. Chiarugi esordì in serie A con la maglia della Fiorentina nella stagione 1965-66: era l’epoca di Maschio, Hamrin e Morrone. Mostri sacri con cui era difficile convivere, soprattutto per un giovanissimo come lui.

Luciano seppe però tagliarsi un ruolo molto significativo, rimanendo a Firenze per ben 7 stagioni, con un bottino di 150 partite e oltre 40 gol in carniere. Coi viola vinse una Coppa Italia e soprattutto l’indimenticabile scudetto del 1969, un trionfo che fece saltare di gioia per mesi tutta la Toscana. Divenne un idolo e un calciatore di livello internazionale, sfiorando la maglia da titolare nell’Italia nel mondiale messicano del 1970. Purtroppo per lui, qualche incomprensione tattica (qualcuno parlò di poca coesione con Gigi Riva) fu alla base della sua ingiusta bocciatura. Luciano non venne neppure inserito nella lista dei convocati; in totale, con gli azzurri marcò appena 3 presenze.


Nel 1972-73 Chiarugi passò al Milan di Nereo Rocco e Gianni Rivera; il trasferimento non fu agevole, le difficoltà di ambientamento causarono contrasti emotivi pesanti e Luciano ne risentì sul piano psicologico e fisico. Dovette affrontare persino un esaurimento nervoso che gli comportò un calo di peso di circa dieci chili. In campo, fortunatamente, nessuno si rese conto di questi problemi: addirittura il primo anno con i rossoneri fu uno dei più brillanti della sua carriera. Vinse la Coppa delle Coppe da assoluto protagonista, col titolo di capocannoniere del torneo con 7 gol e il guizzo decisivo nella finalissima di Salonicco contro il Leeds (1-0, Chiarugi segnò dopo appena tre minuti). Per Luciano 12 centri anche in campionato, e l’etichetta di “Provvidenza” che gli dedicarono i tifosi del Milan per la capacità di segnare gol importanti sul finire degli incontri.

Dopo tre anni Cavallo Pazzo passò al Napoli, dove ritrovava l’allenatore Pesaola, con cui condivideva i trionfali trascorsi fiorentini; e infatti la stagione fu tutto sommato positiva, nonostante qualche inatteso stop muscolare. I guai arrivarono l’anno dopo, col nuovo mister Di Marzio che si dimostrò poco disponibile nei suoi confronti. Chiarugi quasi voleva gettare la spugna: l’incompatibilità col tecnico divenne un fardello insostenibile per entrambi, e i risultati furono conseguentemente scadenti… Fu allora che cominciò la parabola discendente di Luciano: un odissea di esperienze mai pienamente soddisfacenti che lo portarono a trasferirsi da una stagione all’altra in squadre sempre diverse. Nel 1978-79 passò alla Sampdoria, l’anno dopo al Bologna; di seguito Rimini (serie B) e Rondinella (serie C2), per poi chiudere il sipario con la Massese nel 1984.

Il calcio rimase comunque parte costante della sua vita: Chiarugi ritornò nella città che più aveva amato, Firenze, per allenare le formazioni giovanili viola e studiare da tecnico. Apprezzato per le sue molteplici qualità, ebbe pure la possibilità di allenare la prima squadra della Fiorentina; era la stagione 1992-93 e c’era la necessità di subentrare ad Aldo Agroppi. Accanto a Giancarlo Antognoni, storica bandiera con cui però non aveva mai giocato insieme, Luciano guidò con coraggio e grande dignità una Fiorentina malandata e in difficoltà, in una delle stagioni più difficili della storia calcistica del club. In definitiva, Cavallo Pazzo Chiarugi si rivelò molto meno pazzo di quanto il soprannome possa far pensare. Aveva piedi ben piantati in terra, un’ottima base tecnica e solidi valori affettivi che considerava la ricchezza maggiore da possedere. E soprattutto mantenne sempre un’idea ancora romantica del gioco del calcio, privilegiando l’uomo rispetto al giocatore. E proprio per questo semplice motivo non si trova a suo agio nell’ambiente sportivo italiano, fatto quasi esclusivamente di ingaggi esagerati e sponsor troppo invadenti…

Lucio Iaccarino