Uno dei migliori centrocampisti spagnoli di sempre che nell’Inter trovò terreno fertile per sfondare! Amato da Herrera e Moratti, fu Pallone d’oro 1960!
Il regista in una squadra di calcio è come il faro per una barca in difficoltà; rappresenta qualcosa di più di una speranza, una luce che rischiara il momento buio e tenebroso. E, come dicono i poeti, a volte la speranza, e non il compimento, simboleggia il perno su cui aggrapparsi per arrivare in porto sani e salvi. Per molti interisti nostalgici, Luis Suarez è stato il faro della Grande Inter del mago Herrera e del presidente Moratti. Militò coi nerazzurri per molti anni, i migliori della sua sfolgorante carriera, e dipinse memorabili imprese conquistando tre scudetti (1963-1965-1966), due Coppe dei Campioni (1964-1965) e due Coppe Intercontinentali (1964-1965). Il suo modo di interpretare quel ruolo era unico, con l’eleganza e la concretezza che si sposavano alla perfezione. E di barche in porto ne ha condotte parecchie…
Luis Suarez Miramontes nacque a La Coruna, in Spagna, il 2 maggio del 1935: il suo battesimo di calciatore avvenne proprio nel Deportivo, il club della sua città. A 19 anni fu acquistato dal Barcellona dove, in otto stagioni, disputò 216 gare (coppe comprese) con il contorno di 112 reti all’attivo. Vinse la Liga e la Coppa del Re per due volte, alzò al cielo la Coppa delle Fiere nel 1958 e nel 1960 e soprattutto il massimo riconoscimento per un calciatore europeo: il Pallone d’Oro del 1960. Helenio Herrera, che era sempre stato un estimatore di Suarez, fece carte false per prendere questo talento e ci riuscì nel 1961.
Il Mago aveva visto ancora una volta bene, e fu ripagato alla grande da “Luisito”. Suarez era un centrocampista infaticabile, in continuo spostamento da una tre quarti all’altra del campo. Essenziale, generoso, intelligente e capace di poderosi lanci anche di 40-50 metri: lo spagnolo saltava in blocco gli schemi difensivi avversari fornendo preziosi assist a Mazzola, Jair o Corso. La regia lineare di Suarez, sobria e nello stesso tempo luminosa e veloce, ravvivava l’oscuro e implacabile catenaccio di Herrera, fornendo alla squadra quella carta in più che le permise di sostare per cinque magnifiche stagioni ai vertici del calcio internazionale.
Il presidente nerazzurro Mora
Simbolo di professionalità, tecnica e intelligenza calcistica, Suarez era anche un vero e proprio capo carismatico, trascinatore dei compagni, sempre attento all’aspetto umano dei rapporti e pronto ad aiutare i più giovani e meno esperti. Lo stesso Sandro Mazzola l’ha sempre ricordato con affetto come punto di riferimento della squadra non solo durante i novanta minuti, ma soprattutto in ritiro, in allenamento o durante le discussioni negli spogliatoi. I tifosi italiani, anche quelli delle altre squadre, hanno sempre apprezzato il suo modo elegante di giocare e di vivere: in dodici anni ha accumulato un numero incalcolabile di amici e persone che gli vogliono bene. L’esperienza come allenatore professionista non è stata ricca di trofei e soddisfazioni, mentre molti appassionati potranno certamente ricordare, soprattutto negli anni novanta, le sue molteplici apparizioni televisive nei programmi calcistici di approfondimento. Una tempistica e un modo di comunicare sempre puntuale e preciso, mai volgare e tecnicamente perfetto. Luis Suarez, un vero maestro, anzi un docente universitario del calcio…
Lucio Iaccarino