La storia di un tecnico italiano emigrato in Cina e ora tornato nel nostro paese.
Negli ultimi tempi molti tecnici italiani, anche di nome, sono emigrati in Cina per cercare fortuna (e soldi) mentre quella che vogliamo raccontarvi è la storia di un allenatore che dall’Asia se ne è tornato in Italia, nelle Marche.
Mario Di Camillo, nato a Teramo ma di origini lombarde; si trasferisce nelle Marche per lavoro ma con la passione per il calcio che scorre nelle sue vene. Gli esordi in panchina sono in Lombardia alla guida di Caravaggio e Rivoltana poi il lavoro lo porta a sbarcare nel centro Italia e a vivere nuove esperienze sui campi di calcio.
Montegiorgese in Promozione ma anche Paludi, Capodarchese, Settempeda e Torrese con campionati vinti di Prima e Seconda categoria. Non è solo panchina per lui ma anche esperienze da direttore sportivo a Porto San Giorgio e in Abruzzo e da talent scout per il Foggia di Pecchia.
Il lavoro lo porta però all’estero, prima in Russia e poi in Cina e lì scopre un mondo pallonaro che nulla ha a che vedere con il nostro. “Ho allenato nelle scuole dove possono esserci fino a 1500 ragazzini che fanno calcio ma non per puro divertimento ma perchè è visto come un dovere, qualcosa diobbligatorio, di regime e governativo. Hanno strutture che in Italia neanche possiamo immaginare eppure non c’è investimento se non a livelli altissimi. Il calcio è visto come una mera materia di studio”.
“In Cina gli occidentali vengono rispettati e sorprende vedere come che a distanza di pochi metri si possono ammirare dei palazzi fantastici, bellissimi nell’architettonica e poi strade sporche e mal curate. Se hai un titolo di studio e vuoi partire per la Cina potresti fare carriera”.
Dopo un anno in terra cinese è tornato nella sua regione d’adozione, le Marche con la voglia di riprendere quel discorso con la panchina interrotto:“Ho una voglia matta di rimettermi in gioco come allenatore. So che sarà durissima perché quando esci dal giro per troppo tempo le porte sono chiuse. Il calcio è davvero cambiato rispetto a prima. Ora contano i soldi, i procuratori, gli sponsor e chi non ne porta difficilmente riesce a trovare un posto in panchina.
Non guardo la panchina e potrei anche allenare una juniores. Quello che posso dare è la grande voglia ed esperienza accumulata negli anni anche nel mio soggiorno cinese. Se lì è solo disciplina, in Italia gli si dà ancora la valenza di passione, quella che reputo anche mia”.