Lo scorso Sabato 1 Febbraio si è spento Luís Aragonés. Aveva 75 anni ed era da tempo malato di leucemia.

Luis Aragones (foto dalla rete)

Luis Aragones (foto dalla rete)

In Spagna la sua scomparsa ha generato molta commozione. Perché “el sabio de Hortaleza” (Hortaleza è il quartiere natale di Aragonés, fino al 1950 municipio autonomo, ubicato nella periferia nord di Madrid) era apparso in pubblico diverse volte negli ultimi tempi, senza che vi fossero avvisaglie dell’infausto evento. E perché Luís Aragonés è un pezzo di Storia fondamentale dello sport iberico.

Nato il 28 Luglio 1938, José Luís Aragonés Suárez Martínez ha calcato i campi di calcio spagnoli dagli Anni Cinquanta del secolo scorso fino alla fine del primo decennio del nuovo millennio. È stato un gran calciatore. Detiene tutt’ora il record di centrocampista con più gol segnati nella Liga, 160 (in 360 presenze). Mosse i primi passi nel Getafe e venne acquistato ventenne dal Real Madrid; coi “blancos” non mise mai piede in campo, venendo ceduto in prestito prima al Recreativo Huelva, quindi ad Hércules Alicante, Úbeda, Plus Ultra (l’oggi Real Madrid Castilla, seconda squadra del Real Madrid), quindi all’Oviedo, debuttando nel 1960 in Primera División, per poi svincolarsi dal Madrid e passare al Betis Sevilla. Dopo tre anni in Andalucía, nel 1964 viene acquistato dall’Atlético Madrid.

Coi “colchoneros” gioca per dieci anni, vincendo tre volte la Liga e due la Copa del Generalísimo (oggi Copa del Rey), arrivando a vestire la maglia della Nazionale (11 volte, con 3 gol) e raggiungendo il punto più alto della Storia del club biancorosso il 15 Maggio 1974 all’Heysel di Bruxelles, quando l’Atletico arrivò in Finale di Coppa dei Campioni; il match contro il Bayern Monaco terminò 1-1 con gol di Aragonés (che aveva quasi 36 anni) per i madrileni e, non esistendo ancora i supplementari, la gara fu ripetuta due giorni dopo e vinta dai tedeschi per 4-0.
Il “zapatones” (da “zapatos”, cioè “scarpe”, nomignolo dovuto alla sua taglia 44 di piede) giocò fino alla decima giornata del campionato 1974/75, quando l’allenatore Juan Carlos Lorenzo fu esonerato e lo storico presidente Ramón Calderón lo nominò tecnico della prima squadra, pochi mesi prima di disputare e vincere la Coppa Intercontinentale (il Bayern si era tirato indietro) contro l’Independiente.


La sua prima tappa col club della sua vita finisce nel 1978, con in bacheca anche una Copa del Rey (nel 1976, il Generalísimo Franco era morto l’anno prima) e la sua unica Liga come allenatore. Torna nel 1979, ma viene esonerato a campionato in corso. Dopo una fugace (solo una panchina) esperienza al Betis, nell’82 torna ancora a casa, restando fino al 1986 e vincendo una Copa del Rey ed una Supercopa de España. La sua quarta tappa all’Atletico è l’anno dopo, quando va in panchina nella seconda metà della stagione. Nell’87/88 allena il Barcellona, vincendo una Copa del Rey. Nella stagione ‘90/’91 è all’Espanyol. Quindi di nuovo Atlético Madrid, due anni per vincere una nuova Copa del Rey. Dal ‘93 al ‘95 è al Siviglia di Simeone e Suker, quindi due anni al Valencia, dove famosi furono i suoi battibecchi con Romario. Passa quindi per Betis, Oviedo (la cui salvezza lui stesso considerava il suo più grande successo) e Mallorca (portato al 3º posto in Liga e, quindi, ai preliminari di Champions), ma l’Atlético Madrid lo richiamò per una nuova impresa: riportare il club in Primera División dopo la catastrofica retrocessione del 2000. In due anni raggiunge l’obbiettivo, lasciando per l’ultima volta il club nel 2003 con un 12º posto in Liga. Quindi un nuovo anno al Mallorca, prima di esser chiamato a dirigere la Nazionale.

Nei quattro anni che passa come ct, Aragonés cambia il corso della Storia del calcio spagnolo. Chiusi i Mondiali 2006 con una deludente sconfitta agli Ottavi di Finale, fa fuori alcuni senatori, su tutti il capitano, stella e bomber Raúl e punta sui “basito”, i “piccoletti”. Il tiki-taka con cui la Spagna sta dominando il mondo lo ha immesso lui nell’anima del fútbol nazionale. Durante il suo interregno, litiga con dirigenti, tifosi, giornalisti. Ma alla fine vince: il 29 Giugno 2008 la Spagna si erge sulla cima del continente, vincendo l’Europeo a Vienna con un solitario gol di Fernando Torres, quel Fernando Torres che proprio Aragonés aveva fatto esordire nell’Atletico. La sua ultima esperienza in panchina è nel 2008/2009, al Fenerbahçe.

L’eredità di Luís Aragonés è quella di un calcio semplice ed umano. Nella sua concezione dello sport, più che la tattica, prevaleva il concetto di gruppo. Amava le squadre solide ed abili nel contropiede, ma ebbe l’intelligenza e la sensibilità di capire che le idee di un allenatore non vengono mai prima dei calciatori. E fu così che nacque la Spagna del possesso palla e dei funamboli.

Mario Cipriano