Il multiculturalismo all’italiana è al solito un compromesso finalizzato alla convenienza. Francia e Germania non sono modelli in cui potersi specchiare.

I nuovi oriundi Vázquez ed Éder  (fotomontaggio realizzato da www.ansa.it)

I nuovi oriundi Vázquez ed Éder (fotomontaggio realizzato da www.ansa.it)

Una frase rubata, quasi forzata, a Roberto Mancini lunedì mattina ha riaperto la polemica sugli oriundi nella nazionale italiana. Sono arrivate a valanga le “risposte” di Conte, Tavecchio, Barzagli, Albertini, MandorliniLa questione è spinosa e l’unica certezza è che, come ha sottolineato il CT Antonio Conte, chiunque abbia il passaporto italiano e non abbia già militato in altre nazionali in gare ufficiali (le amichevoli non contano) è selezionabile per vestire la maglia azzurra. Da qui in avanti, si può discutere su quanto sia etico e decoroso dare un tal privilegio a ragazzi che non parlano neanche correttamente l’italiano, che sono in Europa solo per lavoro, che a fine carriera tornano di corsa a casa e che hanno scelto l’Italia solo perché le loro nazionali di origine non li hanno tenuti in considerazione.

Uno degli argomenti utilizzati da chi difende l’utilizzo degli oriundi è la necessità di fare un passo in avanti socialmente ed accettare i nuovi italiani, chiamando in causa come esempi virtuosi i casi di Francia e Germania, campioni del mondo con nazionali multirazziali. Il paragone, però, non calza per niente. Infatti, mentre Germania e Francia convocano ragazzi di origine straniera nati sul suolo nazionale – caso esemplare ce lo abbiamo anche noi con Balotelli, nato in Italia da genitori stranieri – o emigrati in tenerissima età, gli oriundi azzurri sono stranieri con bisnonni o trisavori (ma anche padre e madre, non è quello il punto) italiani che hanno vissuto quasi tutta la vita in un altro Paese, che sono arrivati in Italia solo per lavoro e che, come si diceva prima, a fine carriera son tornati o torneranno a casa, avendo vestito l’azzurro unicamente perché non abbastanza bravi da meritare la convocazione di Argentina o Brasile, che sono i nostri principali “fornitori”. Camoranesi, Thiago Motta, Amauri, Osvaldo, Ledesma, Éder, Franco Vázquez, Schelotto e Paletta sono gli esempi recenti. In passato, almeno, si prendevano quelli bravi…

Karim Bellarabi con la maglia della Germania  (foto www.express.co.uk)

Karim Bellarabi con la maglia della Germania (foto www.express.co.uk)

Guardando alla Germania campione del mondo, invece, notiamo che son tutti ragazzi nati sul territorio tedesco: Shkodran Mustafi a Bad Hersfeld, Jérôme Boateng a Berlino, Sami Khedira a Stoccarda e Mesut Özil a Gelsenkirchen; anche in nuovi arrivati Sebastian Rudy (Villinge-Schwenningen), Jonas Hector (Saarbrücken), André Hahn (Otterndorf), Max Meyer (Oberhausen), Karim Bellarabi (Berlino), Sidney Sam (Kiel) e Leon Goretzka (Bochun) son tedeschi di nascita, senza dimenticare Mario Gómez (Riedlingen) e İlkay Gündoğan (Gelsenkirchen); le uniche eccezioni sono Miroslav Klose e Lucas Podolski, entrambi nati in Polonia, ma che passarono giovanissimi (2 anni Podolski, 5 Klose) la frontiera con le loro famiglie.


Discorso molto simile per la Francia del 1998-2000: Zidane è nato a Marsiglia, Djorkaeff a Lione, Lizarazu a Saint-Jean-de-Luz (sui Pirenei al confine con Euskadi, tanto a confine che ha potuto giocare anche con l’Athletic Bilbao tutto basco), Pirés a Reims, Trezeguet a Rouen ed un largo etc. che include Diomede, Rama, Ramé, Petit, Wiltord, Micoud; fanno eccezione Desailly (nato in Ghana), Thuram (Guadalupe), Vieira (Senegal) e Karembeu (Nuova Caledonia), emigrati da bambini in Francia.

Insomma, gli esempi che si tende ad apportare per dimostrare che siamo un Paese che favorisce l’integrazione e, quindi, giustificare l’utilizzo degli oriundi, sono semplicemente falsi. Più onesto sarebbe dire che, per una nazionale italiana in decadenza, si sceglie di prender giocatori che casualmente si ritrovano tra le mani un passaporto italiano e che non sono abbastanza bravi per giocare nelle nazionali più importanti. Basterebbe dirlo. Ed accettare le polemiche che ne derivano.

Mario Cipriano