I giallorossi hanno il miglior organico della serie A, ma stentano sia in Italia che in Europa. Le colpe sono solo di Garcìa?

Udinese - Roma - Serie A Tim 2013/2014

Rudi Garcia

In queste prime giornate il percorso emotivo (prima che tecnico) della Roma è stato un continuo oscillare tra euforia e depressione, senza soluzione di continuità: il brutto pareggio di Verona è stato ribaltato dalla grande vittoria con la Juve; la trasferta di Frosinone è stata valorizzata dal pareggio col Barcellona; la sconfitta con la Samp – dopo il 2-2 col Sassuolo – ha invece portato all’allarme, messo a tacere dalla goleada col Carpi.

La Roma sembra impegnata a smentire costantemente se stessa, in un eterno ritorno che non sembra offrire nulla di nuovo: a quasi due mesi dall’inizio del campionato non si è ancora capito quale sia la vera natura dei giallorossi, se grande squadra o grande bluff. La sconfitta in casa del BATE ha “finalmente” scoperchiato il vaso di pandora, mostrando – in un colpo solo – tutte le contraddizioni dei giallorossi, la loro ambiguità.

L’esoso mercato estivo sembrava aver finalmente colmato le lacune dei giallorossi: un portiere più “europeo”, un terzino sinistro di qualità, una vera prima punta (capace di unire la fase realizzativa ad un gioco più al servizio della squadra). Con la completa maturazione di Florenzi nel nuovo ruolo, e le aggiunte di Iago Falque e Salah, la Roma è parsa una squadra finalmente compiuta, ma non completa.

Szczesny ha dalla sua una migliore dimestichezza palla al piede e grandi colpi, ma soffre delle stesse amnesie di De Sanctis, mentre la difesa – salvo il notevole miglioramento sulle fasce – manca completamente nella costruzione dal basso, anche elementare. Sia Rudiger che Manolas hanno difficoltà palla al piede, e – a meno di una completa maturazione di De Rossi nel ruolo – l’unica chance è il ritorno di Castan ai livelli di due anni fa.

Nei titolari, il centrocampo (Keita, Pjanic, Nainggolan) è uno dei più competitivi in Europa, ma – senza Strootman – mancano alternative di livello: Vainqueur al momento è un buon rimpiazzo, non di più, Ucan sembra non godere della fiducia di Garcìa. L’uso di De Rossi e Florenzi, di contro, scoprirebbe altre zone di campo.


Anche in avanti, enormi potenzialità e grandi contraddizioni: la non intercambiabilità di Totti e Dzeko è lapalissiana, ma – a ben vedere – il principale problema è nel resto del reparto: delle quattro ali in rosa c’è un solo giocatore di manovra, e tre contropiedisti. Il gioco delle coppie (anzi, dei trii) è più complicato di quanto sembri: per caratteristiche Iago Falque è l’unico che si sposi alla perfezione con Dzeko, mentre gli altri sono giocatori meno associativi, più bravi a sfruttare il lavoro di un regista offensivo alla Totti.

Il mancato exploit realizzativo del bosniaco (un solo gol in 6 partite) bisogna vedersi soprattutto in tal senso, alla luce (anche) delle stagioni di Destro e Doumbia sotto l’allenatore francese.

L’ex City dovrebbe essere supportato dalla spinta sulle fasce, ma – se il lato di Digne e Iago funziona alla perfezione – lo stesso non si può dire per la fascia opposta, dove la manovra si esaurisce nelle giocate solitarie di Salah, un vero e proprio “assorbitore” di gioco. Non è un caso che l’unico gol di Dzeko sia arrivato dalla sinistra: a destra le azioni offensive sfociano quasi sempre in soluzioni individuali (Florenzi contro Verona e Barcellona, Iturbe contro il Frosinone, Gervinho a Carpi).

Sintomatico è anche il fatto che dei 16 gol segnati solo quattro siano arrivati su manovra (Dzeko contro la Juve, Digne col Carpi, Gervinho e Torosidis col Bate). Tolti i gol di Florenzi (fuori da ogni schema) e quelli in contropiede di Totti e Iturbe, gli altri 8 sono arrivati tutti in situazioni fuori contesto tattico: le due punizioni di Pjanic, i gol di Salah e Iago contro Sassuolo e Frosinone (uno su corner ribattuto, l’altro su rimessa buttata in mezzo), i tre (!) gol segnati su tiri ribattuti (Gervinho, Salah) o intercettati (Manolas).

Questo ad ulteriore riprova di un gioco fondato soprattutto sugli individualismi, a fronte di una manovra ancora immatura se non assente. Nel suo undici tipo la Roma ha una doppia ambivalenza, tra calciatori nati per il gioco di manovra (Iago, Digne, Dzeko, Pjanic) e chi si esalta negli spazi (Salah, Gervinho, Iturbe, e – in una certa misura – anche Maicon e Florenzi).

La Roma al momento è una squadra forte, ma sbagliata. Gli uomini di Garcìa continuano ad oscillare tra il gioco di controllo (Juve) e quello di contrattacco (Barcellona), con parecchi passaggi a vuoto (Verona, Bate, Sassuolo). Il processo di acquisizione è lontano dal completarsi, e ancora non si capisce a pieno quale sia la strada intrapresa. Di certo, che voglia mantenere entrambe le nature o stia lavorando per valorizzarne una, al momento la Roma non è né l’una né l’altra cosa.

Angelo A. Pisani