Batista, l’uomo dei vizi, dall’alcool al fumo passando per le donne! In Italia, dove giocò con Lazio e Avellino, quasi si dimenticò di essere un calciatore.

Batista (foto sambafoot.com)

Joao da Silva Batista

Ad una prima rapida occhiata sembrava il tipico balordo-facinoroso di uno dei tantissimi spaghetti western che tanto andavano di moda negli anni sessanta e settanta. Già, proprio un personaggio da film, e a pensarci bene in Italia Joao da Silva Batista forse avrebbe fatto meglio a scegliere la carriera di attore piuttosto che quella di calciatore. Aveva tutti i giorni una faccia stravolta dalla  stanchezza, tipica di chi ha dormito poco; poi capelli lunghi ma trascurati, barba di almeno 3-4 giorni, sigaretta d’ordinanza in bocca e occhi stranamente accesi, quasi come se volessero dire: “Io lo reggo alla grande, il whisky!” E in fondo anche in questo aveva ragione, perché era davvero un bevitore super, capace di eccedere ogni giorno in svariati tipi di bevande alcoliche e ciononostante di scendere discretamente lucido in un campo di calcio la domenica e guadagnarsi la pagnotta (o meglio, nel suo caso, il bicchiere) per vivere. Per chi non lo sapesse, era un calciatore professionista…

E il rimpianto più grande, che si può esprimere in una domanda, è proprio questo: senza vizi e stravizi, dove sarebbe arrivato Batista? Prima di venire a bere, fumare e far danni in Italia, la sua era stata carriera più che soddisfacente. Batista era nato l’8 marzo 1955 a Porto Alegre, in Brasile; era calcisticamente cresciuto proprio nella sua terra, in club di primo livello come International, Gremio e Palmeiras. Era un buon centrocampista di interdizione, capace soprattutto di aiutare la propria squadra sia in fase difensiva ma non disdegnando la possibilità di dare slancio alla manovra di costruzione del gioco. Magari era lento, ma in Brasile furono in pochi ad accorgersene; tutto sommato, aveva vinto 3 campionati brasiliani (1975-1976-1979) e il suo nome era stato accostato alla gloriosa Seleçao. Proprio coi verdeoro, aveva dimostrato di essere tutt’altro che un brocco: non si spiegherebbero infatti le 38 partite in nazionale (senza gol, ma non era il suo mestiere) e due campionati del mondo disputati. Nel 1978 in Argentina era addirittura titolare, giocando tutte le sette partite del torneo e piazzandosi al terzo posto. Nei mondiali spagnoli del 1982 Batista fu un rincalzo, ma aveva davanti a sé veri monumenti nazionali (Falcao, Socrates) e comunque accumulò esperienza affiancando grandi campioni.

L’apertura delle frontiere per gli stranieri lo coinvolse direttamente nella stagione 1983/84, quando la Lazio puntò forte su di lui per provare a scalare la classifica del campionato italiano di serie A. Purtroppo per gli aquilotti, fu come prendere una scala mobile dal lato sbagliato: la squadra navigò mestamente nella mediocrità piazzandosi al 13° posto. L’anno dopo, il secondo e ultimo del brasiliano con la Lazio, si materializzò addirittura la retrocessione in serie B (15 ° posto). Ovvio che le colpe non furono tutte di Batista, ma è altresì chiaro che il suo contributo fu talmente modesto da innescare pesanti polemiche contro di lui. In questi due nefasti anni totalizzò 43 presenze con 2 gol in campionato, ma anche tanti (troppi) bicchierini e uscite serali. Non era mai aggressivo o rissoso con compagni e staff tecnico (ricordiamo che un suo allenatore fu Gigi Simoni), semplicemente non si trovava in linea coi parametri che un atleta serio dovrebbe seguire.


Batista, quasi inconsciamente, “cercava di elaborare un proprio sistema di allenamento e un nuovo sistema di vita che avesse una propria filosofia ragionata e princìpi organici, e trovasse nella spiritualizzazione dei sensi la sua più alta attuazione”. Per gli estimatori del grande Oscar Wilde, stiamo volutamente utilizzando parti del celebre romanzo Il ritratto di Dorian Gray . Può forse sembrare assurdo, ma il protagonista ha dei punti in comune col nostro Batista, con quest’ultimo schiavo di una passione che ne condizionò l’esistenza, che lo rese diverso. Bere, ma badate bene senza mai ubriacarsi, significa essere consapevoli di un eccesso che è gioia effimera, della ricerca di quel qualcosa della vita che sembra scapparci perché troppo veloce. “L’adorazione dei sensi è stata spesso screditata perché gli uomini provano un naturale, istintivo terrore per le passioni e le sensazioni che sembrano più forti di loro stessi e che essi sanno di condividere con le meno nobili forme di esistenza”.

Batista in Italia ha quindi tanto amato gli eccessi da relegare il calcio quasi ad un hobby, ed è stato davvero un peccato visto che il talento c’era. Oltre al whisky, che resta comunque al primo posto, non possiamo dimenticare lo smisurato affetto per le sigarette e le belle ragazze, che nel calcio non sono mai mancate. Insomma, cambiando il proverbio: Bacco, tabacco e Venere riducono… Batista in cenere! Oddio, il brasiliano non finì proprio in cenere ma quasi. Dopo la retrocessione con la Lazio, passò all’Avellino e in Irpinia fu quasi un fantasma: appena 14 presenze con un gol. I motivi del rendimento basso sono facilmente intuibili e l’addio col calcio di casa nostra divenne ufficiale nel 1986.

Tornò in Brasile, dopo una parentesi in Portogallo col Belensenses, dove concluse con l’Avai la sua storia d’amore, tormentata ma viva, col calcio. In questo magnifico sport Batista ha saputo sempre trarre profitto dagli eventi. Dopo una partita, se aveva vinto la sera si brindava con gli amici per festeggiare; se aveva perso la sera si alzavano i calici per dimenticare l’infausto evento. Insomma, in ogni caso si beveva…

Lucio Iaccarino