Una storia di calcio dalle lontane terre dell’Asia che ci fa riconciliare con la bellezza dello sport visto come gioia.
Tendi l’orecchio e ascolta. Il vento che sferza la distesa infinita della steppa, verde oltre ogni confine percepibile, ti porta il suono di cavalli al galoppo in lontananza. Lo spazio si riduce, gli zoccoli segnano l’erba e la scia diventa folata. Colori di vesti gonfiate, urla gioiose riempiono per un attimo la scena. Poi, ritorna tutto verde: come un enorme campo da calcio.
E’ la Mongolia, una delle terre più lontane nella nostra immaginazione, con i suoi suoni e i suoi colori: un Paese che, negli ultimi anni, sta cercando di emergere anche nel calcio. Otto squadre prendono parte al campionato mongolo di Prima Divisione che si disputa solamente nei mesi più caldi, visto che in inverno le temperature scendono anche a 20 gradi sottozero.
La squadra più importante del Paese è l’FC Mazaalai, della capitale Ulan Bator come sette su otto delle formazioni che prendono parte al massimo campionato; ma la migliore, al momento, è l’FC Erchim, prima squadra mongola a partecipare (proprio quest’anno) a una competizione internazionale, la Coppa del Presidente dell’AFC (equivalente asiatica dell’Europa League). Il movimento calcistico è in netta espansione nella grande nazione asiatica: la nazionale, pur essendo stata fondata nel 1959 può essere considerata giovane, perché tra il 1960 e il 1998 non ha disputato partite internazionale. Il giocatore più rappresentativo è, senza dubbio, Bayasgalan Garidmagnai, centrocampista dai piedi buoni, classe 1985, due volte capocannoniere del campionato. Ochirbold è il miglior amico del calciatore simbolo della Mongolia e, come lui, giocava a calcio. E’ arrivato anche a giocare per il Mazaalai, ma in giovane età subisce un grave infortunio che lo costringe a interrompere prematuramente la carriera. Ci ha raccontato una storia che ci ha fatto molto riflettere, di quelle che amiamo narrare in su “Stromberg non è un comodino“.
Ottobre 2007, la Mongolia ospita la Corea del Nord per la prima partita di qualificazione ai mondiali del Sudafrica 2010. L’avversario è di quelli impossibili per una squadra giovane e inesperta come quella mongola, abituata a perdere in larga misura contro tutti e che ha ottenuto il suo miglior risultato in una partita ufficiale pareggiando per 2-2 contro il Bangladesh durante le qualificazioni alla Coppa del Mondo del 2002. Basti pensare che i nordcoreani arriveranno a qualificarsi per disputare i mondiali. A Ulan Bator la partita si mette subito male, con il doppio vantaggio nordcoreano nei primi 24 minuti ad opera di Pak Chol-min e di Jong Chol-min; quest’ultimo rimpingua il bottino realizzando altre due reti. Al termine dei 90 minuti regolamentari il punteggio vede la Mongolia soccombere per 4-0 in casa. Ma nei minuti di recupero, al 93’, il difensore mongolo Odkhuu infila la porta coreana fissando il risultato finale sul 4-1. Tripudio e gioia! Della Corea del Nord? No, della Mongolia!
Ochirbold racconta: “ E’ stato come il gol della vittoria per noi, quello che abbiamo fortemente voluto e cercato per tutta la partita! Ero felicissimo e mi misi a piangere come un bambino, perché la nostra era una squadra di amatori. Non posso dimenticare quell’azione: fu come vincere la Coppa del Mondo per noi!”. Quando ci dice “per noi” gli chiediamo se abbia mai indossato la maglia della nazionale e lui ci risponde: “No, non sono mai stato convocato in nazionale. Mi piace dire che la squadra nazionale è la nostra squadra!” Crediamo non ci sia bisogno di aggiungere altre parole a quelle di Ochirbold. La Coppa del Mondo vinta dalla Mongolia non si trova su nessun albo d’oro, ma su “Stromberg non è un comodino” sì. E ci fa continuare ad amare questo sport, nonostante tutto.
Emanuele Giulianelli