Cervello,cuore e temperamento: Moore fu un calciatore completo. Mito del West Ham e dell’Inghilterra, alzò con la fascia al braccio la Coppa Rimet!

Moore

Bobby Moore(foto yaelida.com)

Pensate che orgoglio, che gioia e che sublime soddisfazione deve essere per un calciatore, professione difensore, sentire dalla bocca di sua maestà O’ Rey Pelé queste parole sul proprio conto: “E’ stato un avversario memorabile, e senza dubbio il miglior difensore che ho incontrato in tutta la mia carriera!” Il destinatario di questo messaggio è stato il grande Bobby Moore, inglese purosangue e atleta simbolo di un calcio che non c’è più, e che tutti rimpiangiamo.

Un uomo e un esempio che è anche rappresentato da una statua di bronzo, eretta a sua immagine all’interno del nuovo stadio di Wembley. E vedremo che non è un caso, visto che proprio a Londra Moore ha puntellato i momenti più significativi della sua epopea calcistica…

Bobby Moore (Robert Frederick Chelsea Moore) nacque a Barking il 12 aprile 1941; in Inghilterra dovrebbero benedire quel giorno e tramandarlo ai posteri, visto che parliamo di un predestinato e di un eletto. Debuttò in prima divisione inglese ad appena 17 anni con la maglia del West Ham United; avrebbe lasciato questa squadra soltanto nel 1973 e solo per un altro club londinese, il Fulham, a quei tempi in seconda divisione.

Il biondo Bobby, ragazzo solido e proporzionato, aveva iniziato la sua carriera come mezza punta. Col tempo, e anche grazie alla sua umiltà e predisposizione al sacrificio, venne impiegato nel ruolo di difensore centrale. Le sue doti principali erano una buona tecnica di base, grande rapidità e tempismo negli interventi sull’uomo (i suoi tackle erano impeccabili), precisione nei lanci, dinamismo straordinario e, soprattutto, visione di gioco e innata capacità di incoraggiare i suoi compagni.


Tante le qualità che metteva in mostra, e altrettanti i meriti che i suoi connazionali gli hanno sempre riconosciuto. Il sigillo più luminoso è stato quello di aver condotto, da coraggioso capitano, l’Inghilterra (maglia che ha indossato per 108 volte, con 2 gol all’attivo) alla conquista del suo unico titolo di campione del mondo! Era il 1966 e Bobby Moore costituì l’ossatura portante della difesa insieme a Jackie Charlton.

Fu un cammino esaltante, grazie anche a campioni del calibro di Banks, Bobby Charlton, Hunt. Dopo aver fatto fuori nel girone Uruguay, Messico e Francia, il furore dell’Inghilterra proseguì anche nei turni ad eliminazione diretta. Nei quarti 1-0 all’Argentina, in semifinale 2-1 al Portogallo di Eusebio e in finale il pirotecnico 4-2 alla Germania, famoso per il leggendario gol-fantasma di Hurst. Per Moore, oramai beniamino del popolo inglese, questa vittoria fu il biglietto per entrare (e non uscire mai più) nella leggenda. Era il 30 luglio: la Coppa Rimet arrivava a Londra…

E, come detto, il binomio Moore-Wembley ha contraddistinto anche altre vicende calcistiche, in una sorta di idillio perpetuo. Lì, il 2 maggio del 1964, Bobby aveva conquistato la Coppa d’Inghilterra con il West Ham, vittorioso in una gara palpitante per 3-2 sul Preston North. Un anno più tardi, il 19 maggio 1965 e sempre col West Ham, lo storico trionfo in Coppa delle Coppe dopo la finale (2-0) col Monaco 1860. Certo, in un paio di circostanze Wembley fece cilecca nei confronti del campione, ma è la dura legge del football e rispettarla è un dovere: Moore a Londra perse il suo ultimo incontro internazionale (14 novembre 1973, 0-1 proprio con l’Italia) e una seconda Coppa d’Inghilterra, stavolta con la maglia del Fulham.

Per delineare la figura di Bobby Moore non basterebbero decine di libri, il suo carisma e il suo spirito di capitano sono da esempio per tutti. Numeri e parole per lui si uniscono per quantificarne la grandezza; fu persino decorato dall’Ordine dell’Impero Britannico nel 1967. Insieme alle vittorie già descritte, ci sono da aggiungere i 6 campionati inglesi, i 544 incontri ufficiali (22 gol) col West Ham e i 124 (12 gol) col Fulham.

Adorato dai tifosi e dalla stampa, metteva tutti d’accordo: per gli allenatori avere uno così era una manna scesa dal cielo. Alf Ramsey, commissario tecnico della nazionale inglese campione del mondo, riferendosi a Bobby diceva: “Era lui il vero ispiratore della squadra. In più di un’occasione è stato il mio braccio destro, quello che faceva eseguire sul campo le mie disposizioni, che teneva alto il morale dei suoi compagni e sapeva trascinarli nei momenti difficili!”


Il mito calcistico di Moore chiuse i battenti negli Stati Uniti, poi intraprese una carriera dirigenziale; per lui pure qualche sortita come allenatore, anche se non particolarmente brillante. I più attenti lo avranno di certo riconosciuto come attore nel film “Fuga per la vittoria” del regista John Huston, insieme all’amico Pelé e altre stelle del firmamento mondiale.   Con la pacatezza e il suo impareggiabile stile, Bobby desiderava soltanto godersi la vita; purtroppo, un tumore all’intestino ha rovinato troppo presto i suoi piani, lasciando di stucco le tante persone che gli volevano bene e che ne avevano apprezzato il talento. La malattia lo ha stroncato a quasi 52 anni, il 24 febbraio del 1993 nella sua amata Londra. Addio, capitano di mille battaglie…

Lucio Iaccarino