Lo scudetto del Cagliari di Manlio Scopigno ha un valore che va oltre quello calcistico e sportivo nella storia della Sardegna.

Una formazione del Cagliari 1969-70

Un respiro: leggero e sottile come un soffio di vento, come la brezza che arriva dal Nord a mitigare il caldo insopportabile di una torrida estate isolana. Più che altro un sibilo. Puoi sentirlo in lontananza, se tendi l’orecchio. Arriva. Sempre più forte, sempre più vicino. Adesso assomiglia al suono di un treno che marcia a regime, regolare nel battito degli assi sulle rotaie. O forse di un tuono. Di un rombo di tuono.

Indossa una maglia bianca, con il colletto bordato di rosso e di blu; sul petto quattro mori e tra i piedi un pallone. Corre sempre più veloce, la forza che sprigiona il suo incedere dà la sensazione di creargli il vuoto intorno. Nessuno è in grado di fermare quell’esplosione di potenza, il tuono con il suoi rombo che lo annuncia. Nessuno è in grado di fermare Gigi Riva.
Ventisei anni, una forza della natura: capocannoniere degli ultimi due campionati di Serie A (compreso questo) con la maglia del Cagliari. Nel ’63 è arrivato in Sardegna dalla Lombardia, in una terra povera di soddisfazioni per chi si spacca la schiena a lavorarla, una nazione più che una regione. Un arrivo silenzioso quello del giovane attaccante, in Serie B. Una scalata rapida, a suon di gol: la prima promozione in A della storia della squadra sarda, i primi campionati disputati da protagonista, la prima classifica dei marcatori vinta nel 1967, la maglia azzurra e il titolo di campione d’Europa, conquistato in Italia nel 1968 sotto la guida di Ferruccio Valcareggi.


Fino a oggi, 12 aprile 1970, e al gol più importante, per Gigi, per Cagliari e per la Sardegna intera, quello del vantaggio casalingo contro il Bari. Quello che significa festa per lo stadio Amsicora. Quello che significa scudetto. La Juventus, infatti, perde per 2-0 a Roma contro la Lazio ed è matematicamente fuori dai giochi per il titolo di campione d’Italia che, per la prima volta, viene conquistato da una squadra del Sud. Al gol di Riva fa seguito quello del suo compagno d’attacco Sergio Gori, per il più classico dei risultati che dà inizio ai festeggiamenti.
Oggi lo squadrone non è una delle classiche e prepotenti nobili del Nord, Milan, Juve e Inter, che si spartiscono ogni anno gli scudetti: oggi in vetta c’è il Cagliari, un miracolo costruito con pazienza e grande competenza sin dalla Serie B, da quella promozione del 1964, passando per il secondo posto dell’anno passato, 1968-69, alle spalle della Fiorentina. Evidentemente una sorta di prova generale.

Il mercato estivo, con la cessione di Boninsegna all’Inter in cambio di Poli, Gori e, soprattutto, Domenghini, mette in mano a Scopigno un mosaico perfetto di qualità e carattere, geometrie e velocità, potenza e classe: una squadra capace di incutere timore a tutte le grandi del campionato e, soprattutto, capace di vincere. Già, Manlio Scopigno, il pittore del quadro cagliaritano, il regista del film dei sogni, il pragmatico uomo di pensiero e di campo, il filosofo come è stato sempre chiamato. La sua squadra pratica un calcio arioso, nuovo, il contrario del classico stile “all’italiana”: palla a terra, tanto gioco a centrocampo e lanci in profondità per sfruttare i tagli del rombo di tuono, Gigi Riva. Velocissimo, imprendibile, corre, aggancia il pallone e tira in diagonale. E, quasi sempre, segna.

Ma un grande attacco non può essere vincente, da solo, senza il contributo di una buona difesa. E quella del Cagliari scudettato è ottima al punto da incassare solamente 11 gol in tutta la stagione. Scopigno la impernia sul libero Tomasini, in marcatura Comunardo Niccolai e l’insuperabile Mario Martiradonna con Zignoli e Mancin ad alternarsi nel ruolo di fluidificante. Martiradonna è l’uomo che annulla Sandro Mazzola negli scontri contro l’Inter, implacabile nelle chiusure e nel leggere il movimento dell’attaccante avversario. In porta c’è una vera e propria sicurezza, Ricky Albertosi, estremo difensore della nazionale italiana. A centrocampo Brugnera, Nenè, il regista Greatti e Angelo Domenghini a fare scorribande sulla fascia. Dell’attacco abbiamo già raccontato.

Il campionato del Cagliari tricolore è stato una marcia trionfale, senza interruzioni. Il suo trionfo ha una eco clamorosa in tutta Italia. Le parole di Gianni Brera, in tal senso, sono inequivocabili: “Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia. Fu l’evento che sancì l’inserimento definitivo della Sardegna nella storia del costume italiano. Questa regione rappresentava fino agli anni Sessanta un’altra galassia. Per venirci, bisognava prendere l’aereo e gli italiani avevano una paura atavica di questo mezzo di trasporto. La Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l’ha avuta con il calcio, battendo gli squadroni di Milano e Torino, tradizionalmente le capitali del football italiano. Lo scudetto ha permesso alla Sardegna di liberarsi da antichi complessi di inferiorità ed è stata un’impresa positiva, un evento gioioso. La Sardegna era fino ad allora nota per la brigata “Sassari”, ma le sue vicende furono un massacro”. Un trionfo nel segno del tuono, il riscatto per una regione e per un popolo intero. Per questo qui, oggi 12 aprile 1970, qui a Cagliari è festa grande.

Emanuele Giulianelli