Veniva dal Barcellona e sembrava destinato ad un futuro radioso! La Lazio spese un mare di soldi, ma raccolse solo sprazzi di un talento mai sbocciato

Ivan De La Pena

Ivan De La Pena(foto laziomia.com)

Calcio e religione, mondi lontani ma solo all’apparenza. Come giusto che sia, in uno sport tanto popolare l’integrazione di ragazzi appartenenti a religioni diverse si è concretizzata nella maniera adeguata. Siamo fieri e orgogliosi di vedere, anche nella nostra serie A, musulmani e buddisti fronteggiarsi o giocare nella stessa squadra. Proprio i buddisti sono la novità in espansione, con l’ex Pallone d’Oro Roberto Baggio e il portiere Frey come rappresentanti di maggior prestigio. E pensare che in Italia e nel nostro torneo, qualche anno fa, arrivò dalla Spagna un ragazzotto di belle speranze che aveva invidiabili doti tecniche unite ad un alone mistico su sfondo religioso… Veniva chiamato infatti il Piccolo Buddha, ma non era un religioso praticante, anzi. Semplicemente era molto basso (quasi un nano), aveva la testa rasata (qualche tempo fa erano molto più rare di adesso) e rievocava la fisionomia dell’idolo dell’ex codino della nostra Nazionale. Tale soprannome, inoltre, doveva essere anche lo slancio al suo presunto talento in campo; un concentrato di classe che però non esplose mai…

Ivan De La Pena Lopez nacque a Santander il 6 maggio del 1976 ed ebbe un privilegio e una grande fortuna, peraltro meritata: crescere e sfondare nelle giovanili del Barcellona. Era un centrocampista di buona prospettiva, con qualità e piede vellutato: non arrivava ai 170 centimetri, ma per il suo ruolo non era un problema. Sia come regista che come trequartista, sapeva farsi onore ed era particolarmente ispirato come assist man. In fondo, vista anche l’altezza, possiamo paragonarlo all’attualissimo Xavi. Qualcuno griderà allo scandalo, ma a quei tempi De La Pena sembrava davvero avere un futuro radioso davanti.

Debuttò giovanissimo con la prima squadra dei catalani e si ritagliò uno spazio significativo fra il 1995 e il 1998. Giocò con autentici fuoriclasse come Ronaldo e Guardiola e vinse una Liga, due coppe del Re, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea. Credenziali ottime che lo portarono nell’orbita e nell’interesse dei club italiani. Non dimentichiamoci che qui da noi la fine degli anni novanta era un po’ come l’età dell’oro e tanti presidenti spendevano soldi come caramelle alle feste di paese. Ecco allora che la Lazio di Cragnotti mise nelle mani dei dirigenti spagnoli un assegno con una cifra pazzesca: 35 miliardi delle vecchie lire! I catalani, comunque consapevoli del valore del ragazzo, non ci pensarono due volte e De La Pena arrivò in biancoceleste nel 1998/99. Il Piccolo Buddha voleva consacrarsi e diventare un vero Dio del calcio…


Manco a dirlo, alla resa dei conti l’affare fu del Barcellona visto che l’apporto di De La Pena si limitò a poco più di una dozzina di gare, peraltro quasi tutte insufficienti. La faraonica campagna acquisti della Lazio, che aveva portato a Roma campioni come Vieri (48 miliardi all’Atletico Madrid), Salas (31), Stankovic (24), Mihajlovic (22), Sergio Conceiçao (18) e tanti altri ancora, partorì un deludente secondo posto. Deludente perché con una spesa simile puntare allo scudetto (peraltro perso malamente alla fine contro il Milan) era quasi un obbligo e un diritto morale.

Il Piccolo Buddha giocò poco e male anche per la poca predisposizione tattica agli schemi di mister Eriksson, con cui il rapporto non decollò mai. Il presunto estro di Ivan stava spegnendosi come una candela al sole, e il suo apporto alla vittoria della Coppa Coppe (la seconda per lui) fu pressoché nullo. Lo stesso allenatore svedese dichiarò alla stampa che lui si era opposto all’acquisto del catalano fin dal principio, ma il suo pensiero non era stato preso in considerazione dal presidente Cragnotti.

L’obiettivo della Lazio fu quello di salvaguardare almeno in parte la spesa per questo centrocampista, che rischiava di perdersi nel limbo. De La Pena fu smistato nell’Olympique Marsiglia in Francia, poi addirittura ritornò al Barcellona nel 2000 e ancora alla Lazio (solo una misera presenza, giusto per gli almanacchi) nel 2001. Tutti viaggi e trasferimenti inutili e caratterizzati da delusioni e piccoli infortuni; Ivan cominciò a perdere persino la stima nei propri mezzi e nelle sue qualità, troppo mortificate e svilite da stagioni nefaste. Curiosamente trovò un po’ di conforto solo dopo il 2002, quando cioè gli occhi di addetti ai lavori e appassionati quasi si stavano dimenticando di lui.

E forse è proprio questa la chiave di lettura per chiarire l’enigma dei suoi fallimenti: nell’Espanyol, lontano da eccessive pressioni e stress, riuscì a trovare un rendimento almeno accettabile e quella continuità mai avuta prima. De La Pena rimase nella seconda squadra di Barcellona per quasi un decennio, totalizzando più di 150 presenze e conquistando una storica Coppa del Re nel 2005/06. Lui stesso definì questo successo il più bello ed emozionante della sua vita; per la serie meglio tardi che mai… Il Piccolo Buddha non esisteva più, ora c’era un ragazzo che era riuscito a ricomporre i cocci di una carriera andata alla deriva. Ivan era quasi felice, e non si sentiva ridimensionato: aveva finalmente capito che nella vita bisogna sapersi accontentare…

Lucio Iaccarino