Agostino Di Bartolomei, indimenticato e indimenticabile Capitano della Roma, raccontato da Loris Boni, suo compagno di squadra.

La Roma 1976-77

Roma 1976-77 : Di Bartolomei è il terzo da sinistra in piedi, Boni il secondo accosciato (foto dal web)

Non si è ancora spenta l’eco della puntata di “Sfide” su Agostino Di Bartolomei.
Una storia dal sapore romantico, quella di “Ago”, di calcio romantico come quello che amiamo a “Stromberg non è un comodino”: dai primi calci a Tor Marancia alle giovanili della Roma, dall’esordio in prima squadra al prestito al Lanerossi Vicenza, dal ritorno a Roma allo scudetto con Nils Liedholm. Poi quella sera che non è mai esistita, 30 maggio ’84, con i maledetti rigori con il Liverpool in finale di Coppa Campioni, il tormentato addio alla Roma, alla “sua” Roma. Il Milan, quindi, il Cesena e la Salernitana.

Fino a un altro 30 maggio. L’ultimo, dieci anni dopo quella partita mai disputata secondo molti tifosi perchè eliminata volutamente dalla memoria. Non da quella di Ago, che per tanti rimarrà sempre il Capitano della Roma, con la sua faccia seria che sembrava guardare oltre, riflessiva, ben diversa da quella tipo del calciatore, capace di essere vero leader più con i fatti che con le parole. Depressione, un colpo di pistola e un messaggio scarno e lapidario, nel suo stile anche nel momento estremo: “Sono in un tunnel senza fine Non vogliono farmi rientrare nel mondo del calcio”.

Se ne sono dette e scritte tante sul suo addio alla Roma, traumatico per tutti ma soprattutto per lui e sui suoi tentativi, falliti, di rientrare a Trigoria dopo aver smesso di giocare a calcio. Noi di “Stromberg non è un comodino” abbiamo parlato con Loris Boni che di Agostino è stato compagno di squadra nella Roma dal 1976 al ’79, prima di trasferirsi al Pescara. Qualcuno fece credere a Loris che proprio Di Bartolomei non lo voleva in squadra: tempi di voci incontrollate, di dissapori creati ad arte per vendere qualche giornale in più. Faide, a colpi di inchiostro: in mezzo loro, Loris e Ago.


Boni è un mediano cresciuto nella Solbiatese alla fine degli anni ’60. Nel 1971 passa alla Sampdoria con la quale esordisce in Serie A all’età di 19 anni. Ha talento il biondo centrocampista e si guadagna presto la convocazione in nazionale Under 21. Di lui si accorge la Roma del presidente Gaetano Anzalone che decide di acquistarlo per la cifra di 800 milioni di lire.
La mia esperienza alla Roma fu molto bella e intensa – ricorda Boni – peccato per un grave infortunio che bloccò la mia ascesa: avrei potuto dare molto di più. La mia era una Roma che cercava conferme, anche in campo internazionale, ma molti infortuni condizionarono il rendimento in campionato della squadra”.

Una Roma che passava da Liedholm a Giagnoni, l’allenatore col colbacco. Proprio sotto la guida dell’ex tecnico di Torino, Milan e Bologna, Loris Boni segna un gol importantissimo in Europa, quello che il 5 novembre 1975 ribalta il risultato dell’andata dei Sedicesimi di Finale di Coppa Uefa, il 2-0 che manda a casa gli svedesi dell’Osters e regala alla Roma il passaggio del turno.
Capitani di quella squadra sono Ciccio Cordova, prima, e Sergio Santarini, poi: non ancora Di Bartolomei, che rileverà la fascia nel 1979-80, l’anno in cui Boni, dopo quattro stagioni e ottanta presenze in A, viene ceduto al Pescara. Polemiche, voci, chiacchiere cattive dietro quella cessione.

Si, andai a Pescara con il cuore in gola. Cattiverie gratuite solo per creare assurde polemiche, io ci cascai ma il tempo mi fece rivedere le mie posizioni”.

Si è detto e scritto tanto: da dove provenivano le voci?

Voci interne alla società”.

Ma Loris non ha mai saputo chi, nello specifico, avesse interesse a montare ad arte una rivalità polemica tra Boni e Di Bartolomei, traumatica al punto da costringerlo a lasciare Roma.
Come ci ha detto, col tempo Boni ha rivisto le sue posizioni, ha capito quanto è accaduto: nessun rancore contro Ago. Anzi, un forte rimpianto, per non aver giocato di più con una persona speciale.

Agostino era un personaggio non personaggio, uomo di grandi valori e ottimo calciatore. Io andavo d’accordo con lui sia fuori dal campo che sul terreno di gioco”.

Cosa ha pensato quando anche Di Bartolomei fu costretto ad andare via da Roma?

Quando andò via da Roma ci rimasi male e non capii il perché di questo suo allontanamento. Non ritornare fu per lui un trauma. Penso che a qualcuno potesse dare fastidio la sua presenza, ma il calcio è così: ognuno si preoccupa di salvaguardare il proprio posto”.
Parole dure, ma sincere, quelle di Loris: a cuore aperto, nel ricordo di un compagno, di un amico. Tra quelli che oggi piangono Ago ci sono persone che avrebbero potuto fare qualcosa per evitare il dramma, che avrebbero potuto riaprire quei cancelli di Trigoria che lui ha sempre trovato chiusi quando fa provato a tornare.
Ago doveva tornare perché era la cosa più giusta. Lui era una persona che si identificava con la Roma”.

Di Agostino rimane tanto, tantissimo, negli occhi e nelle orecchie di milioni di tifosi e non che lo hanno amato. Restano i silenzi, gli sguardi, i calci di punizione, le geometrie. Un uomo vero, un Capitano vero.

Rimane quello scudetto, e le parole che Francesco De Gregori ha scritto in una canzone che parla proprio di lui, di Ago. Anzi, di Nino: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”.
Brividi.

Emanuele Giulianelli