A Catania fu accolto come un re, un numero 10 alla Zico che doveva far faville! Finì in B battendo tutti i record negativi; pessima anche la sua avventura in Colombia!

Luvanor

Luvanor(foto footballnews.it)

Diversi anni fa un disincantato e sconosciuto ragazzotto sudamericano, vittima di un messaggio subliminale, fu coinvolto in un paragone che non aveva nessun fondamento logico e tecnico. I tifosi e il popolo calcistico catanese erano stati convinti, dalla stampa nazionale e non solo, che la loro squadra del cuore aveva appena acquistato il nuovo Zico! La maglia numero 10, la stessa (presunta) sensibilità nel toccare un pallone e la medesima maestria nei calci di punizione o nei tiri dalla distanza: erano queste le affinità fra il Galindo Zico e Luvanor.

Entrambi, ovviamente, brasiliani e secondo qualcuno la somiglianza era anche fisica: tesi assolutamente soggettiva e opinabile, ma il punto è che mettendo insieme tutto la gente cominciò davvero a crederci… Forse sarebbe stata opportuna la presenza, nella dirigenza etnea, di un San Tommaso di evangelica memoria: vedere per credere! Purtroppo non c’era e, dopo l’avventato ingaggio del carioca, la storia prese una piega tutt’altro che idilliaca: i due non si somigliavano per nulla, ma ormai era troppo tardi per correggere il destino.

Luvanor Donizete Borges nacque a Parajuba, nel sud del Brasile, il 15 febbraio del 1961 e non era neanche maggiorenne quando debuttò nel Goias. La sua stella calcistica non era luminosissima, ma tutto sommato riuscì coi bianco verdi a collezionare presenze, reti e soprattutto quel minimo di credenziali utili per presentarsi in Europa. In Italia la caccia allo straniero (meglio se sudamericano) era un boccone troppo prelibato per chiunque, soprattutto pensando agli ingaggi. Questo modesto, e non si offenda, trequartista finì in una delle città più belle del nostro stivale: Catania. Era la stagione 1983-84 e il club siciliano tornava in serie A dopo diversi anni, precisamente dal 1970-71: l’epico presidente Massimino non poteva e non voleva fallire la campagna di rafforzamento e mise mano al portafoglio.

Luvanor doveva essere uno degli elementi essenziali per la permanenza in serie A, insieme al connazionale difensore Pedrinho con cui fu presentato in ritiro. Fallirono tutti: non solo loro due, ma anche gli allenatori(prima Di Marzio e poi Fabbri) e tutto il resto della squadra. Nella rosa di quello sgangherato Catania ricordiamo, fra gli altri, il giovanissimo Andrea Carnevale, il baffuto portiere Sorrentino e il difensore Claudio Ranieri, ora allenatore di prestigio.


Per Luvanor e il suo Catania quel campionato fu come un film dell’orrore stile Dario Argento: il brasiliano non imbroccò un tiro, un passaggio e oltretutto in campo era timido come un esordiente senza aggressività e spina dorsale. Con lui i giornalisti andavano una volta tanto d’accordo, visto che tutti gli appioppavano voti bassissimi in pagella. Del resto, gli etnei non si limitarono a retrocedere in serie B ma accumularono un numero incalcolabile di record negativi. Ultimi con appena 12 punti in 30 partite; peggior attacco (14 gol fatti) e peggior difesa (55 gol subiti), peggior media inglese (-33) e una sola vittoria in tutto il campionato: l’incredibile 2-0 al Pisa del 9 ottobre 1983. Il nostro Luvanor non saltò neanche una gara, e visto l’andamento generale non si sa se prendere questa curiosità come un aspetto positivo o meno; tuttavia fu stranamente confermato e scese in serie B insieme ai compagni.

La sua ormai proverbiale lentezza lo accompagnò anche nei cadetti, dove comunque il generale tasso tecnico inferiore migliorò le sue prestazioni. L’anonimato lasciò spazio alla mediocrità, e Luvanor giocò altre due stagioni come una comparsa in un film di seconda o terza fascia. Per gli amanti delle cronache, trovò persino la soddisfazione di marcare tre gol; poca roba, per uno che sognava di diventare un asso della nazionale brasiliana (dovette accontentarsi della selezione olimpica, con 6 presenze a 18 anni). Quando lasciò Catania e la Sicilia, riprovò la carriera in patria vestendo anche casacche di club prestigiosi come Santos e Flamengo.

Non lasciò però mai tracce significative del suo passaggio, mentre nel Goias le cose gli andavano sempre meglio. Probabilmente per merito dell’ambiente di casa o per la possibilità di giocare con maggiore tranquillità e senza lo  stress del risultato a tutti i costi. Addirittura Luvanor provò un’esperienza nel campionato colombiano, dove successivamente cercò di ampliare i suoi interessi con l’acquisto di una piccola catena di negozi. Le ultime notizie sul suo conto ci dicono che ha provato l’avventura come allenatore, e sembrerebbe un fanatico del 4-3-3 di zemaniana memoria. In futuro magari il destino farà incrociare una sua squadra con quella del suo collega Zico: per Luvanor significherebbe sfidare il fantasma della sua gioventù…

 

Lucio Iaccarino