L’amichevole Spagna-Italia ha proposto due nazionali che puntano sugli “oriundi”, calciatori stranieri ma selezionabili giocare con una certa nazionale. L’Italia ne ha schierati, la Spagna ha puntato sul centravanti brasiliano Diego Costa.

Paletta e Diego Costa (foto dalla rete)

Paletta e Diego Costa (foto dalla rete)

Ieri sera si è giocata Spagna-Italia, ultima amichevole prima delle convocazioni per la Coppa del Mondo. Una partita inopportuna, se non dannosa, opinione condivisa dallo stesso CT della Nazionale Italiana Cesare Prandelli. È finita 1-0 per i campioni del mondo, risultato che non spiega a sufficienza la differenza evidenziata tra le due squadre finaliste del passato Europeo. Aldilá di risultato, gioco, indicazioni in vista dei Mondiali, la gara di ieri ha mostrato una particolarità: tra i 22 calciatori scesi in campo dal primo minuto, c’erano quattro stranieri. O, meglio, quattro “oriundi”.


L’Italia, infatti, ha schierato in difesa Gabriel Alejandro Paletta, 28 anni appena compiuti, nato a Longchamps, provincia di Buenos Aires, nazionale argentino con l’Under-20 (campione del mondo nel 2005), discendente di calabresi ma giunto in Italia solo nel 2010; a centrocampo ha giocato Thiago Motta Santon Olivares, 32 anni ad Agosto, nato a Sao Bernardo do Campo, in Brasile, nazionale Under-17 ed Under-23 brasiliano, discendenza veneta, ma residente in Italia solo tra il 2008 ed il 2011; al centro dell’attacco, con la mitica nº 10 azzurra, Pablo Daniel Osvaldo, nato 28 anni fa a Buenos Aires, Argentina, trasferitosi in Italia a 20 anni per ragioni professionali, di origini marchigiane, ha giocato anche con l’Under-21 italiana.

Nella Spagna, invece, ha fatto il suo esordio dopo mesi di polemiche Diego Costa da Silva, 25 anni, brasiliano di Lagarto, due presenze in partite amichevoli con la nazionale brasiliana, dal 2007 in Spagna e dalla scorsa estate cittadino spagnolo in virtù della sua residenza stabile nella penisola iberica.
Si tratta di quattro ragazzi, due brasiliani e due argentini, che per ragioni esclusivamente professionali han deciso di difendere i colori di nazionali che non sono le loro. L’argomento è delicato.

Il CT Prandelli parla di “nuovi italiani”. Ma possono essere considerati italiani ragazzi che han vissuto 20, 24 o 28 anni in un altro Paese, dove son nati, son cresciuti, si son formati come persone? “Nuovi italiani” sono i figli della globalizzazione, cioè ragazzi nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri. Balotelli è l’esempio più visibile. Così come “nuovo spagnolo” è Thiago Alcántara, nato in Italia da genitori brasiliani (suo padre Mazinho fu campione del Mondo nel 1994), ma residente in Spagna dall’età di 3 anni; Thiago è cresciuto in Spagna, ha frequentato scuole spagnole, è spagnolo.

La Storia del calcio è piena di oriundi che han trionfato (o non han trionfato) con nazionali “adottive”. L’Italia ha vinto la Coppa del Mondo del 1934 con gli argentini Luís Monti e Raimundo Orsi, e quella del 2006 con Mauro Germán Camoranesi, ma ha visto in campo anche Angelillo, Libonatti, Sivori e più recentemente Ledesma e Schelotto, nonché i brasiliani Altafini e Amauri, gli uruguaiani Schiaffino e Ghiggia (poche presenze in azzurro, dopo aver fatto Storia con l’Uruguay al vincere il Mondiale del 1950, quello del famoso “Maracanazo”), ma anche inglesi, svizzeri, lussemburghesi, paraguaiani e statunitensi (Giuseppe Rossi, nato in New Jersey e trasferitosi in Italia a 13 per giocare nelle giovanili del Parma).


Anche la Spagna ha fatto il suo, avendo schierato in passato niente meno che il grande Alfredo Di Stéfano (argentino, che aveva giocato anche con la nazionale colombiana) e più recentemente campione d’Europa 2008 con in campo il brasiliano Marcos Senna e l’argentino Mariano Pernía. Ed altri Paesi non son da meno. Causarono polemiche, ad esempio, le naturalizzazioni dei brasiliani Deco e Pepe per giocare con il Portogallo. I brasiliani in generale han “colonizzato” le nazionali dei Paesi in cui han giocato.

Spesso, quando l’argomento vien fuori si parla di razzismo e di mancanza di apertura alla modernità avanzante. Ma, anche se effettivamente l’apertura ai “nuovi italiani” – quelli veri, cioè i nativi italiani figli di immigranti – non è totale, il discorso è diverso e necessita di una differenziazione: quella tra chi, pur discendente di stranieri, è nato e cresciuto in un certo Paese, rispetto a chi, pur avendo discendenza (spesso remota) di un certo Paese, è nato e cresciuto in un altro. Probabilmente non si raggiungerà mai un accordo, perché è un tema, quello degli oriundi, che va ben oltre i limiti del gioco del calcio. Intanto, però, la prossima estate la differenza tra i campioni in carica della Spagna ed i padroni di casa del Brasile potrebbe farla la scelta di Diego Costa di giocare con la “Roja”.

Mario Cipriano