La società del president Ghirardi aveva inoltrato ricorso contro la mancata concessione della Licenza UEFA da parte della FIGC.

Ghirardi

Tommaso Ghirardi, Presidente del Parma (foto dal web)

L’Alta Corte ha respinto il ricorso presentato dalla F.C. Parma contro la FIGC avverso il provvedimento di diniego della Licenza Uefa per la stagione sportiva 2014 – 2015.

DECISIONE

nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 15/2014, presentato, in data 22 maggio 2014, dalla società F.C. Parma, ai sensi dell’art. 21 del Codice dell’Alta Corte, avverso la decisione della FIGC – Commissione di II grado delle Licenze UEFA – comunicata alla società ricorrente in data 19 maggio 2014, recante la conferma del diniego della Licenza UEFA per la stagione sportiva 2014- 2015, già deliberata dalla Commissione di primo grado. visti tutti gli atti e i documenti di causa; uditi, all’udienza pubblica del 28 maggio 2014, l’avv. Silvia Morescanti e l’avv. Carlo Longari per la società ricorrente, l’avv. Massimo Ranieri per la società controinteressata Torino F.C. e gli avvocati Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli per la resistente FIGC;

udito il Relatore, Presidente Franco Frattini.

Ritenuto in fatto
La S.p.A. F.C. Parma ricorre ai sensi dell’art. 21 del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva avverso la decisione della Commissione di secondo grado delle Licenze UEFA comunicata il 19 maggio 2014 con cui è stata confermata la decisione di diniego della Licenza UEFA per la stagione sportiva 2014 – 2015, già deliberata dalla Commissione di primo grado. La ricorrente, premesso di essere legittimata al ricorso stante il suo sesto posto sulla classifica finale di serie A, deduce:
1) che l’elargizione di somme a dieci calciatori nei mesi di ottobre e novembre 2013 non avrebbe carattere di anticipo retributivo ma di mera anticipazione finanziaria (prestito per necessità). Su tali somme, quindi, non avrebbe dovuto essere versata la ritenuta IRPEF di circa 300 mila euro, e dunque i criteri del punto F04 del Manuale Licenze UEFA non sarebbero stati violati, contrariamente a quanto le Commissioni di 1° e 2° grado hanno ritenuto per motivare il diniego della Licenza;
2) che la rappresentazione formale di tali pagamenti è stata erronea, e che lo stesso studio di consulenza che aveva redatto i cd “cedolini” ha per iscritto ammesso l’errore, dovendosi tali somme qualificare come mero “prestito finanziario”; Tanto è vero che dette somme non sono state inserite nel CUD 2013 dei giocatori, in cui sono indicati i “corrispettivi” erogati;
3) che l’errore era, da parte della soc. Parma, scusabile, e che ad esso la ricorrente ha tempestivamente ottemperato, oltre il 31 marzo ma ben prima del 30 giugno;
4) che il termine del 30 marzo per le ritenute IRPEF non poteva ritenersi “perentorio”, malgrado la formula di stile “entro e non oltre il 31 marzo” contenuta nel Manuale;
5) la sanzione della esclusione dalla Coppa Uefa è sproporzionatamente grave, trattandosi semmai di una violazione di ammontare marginale (tardivo versamento di 300 mila euro) rispetto al puntuale versamento di oltre 13 milioni di euro effettuato dalla ricorrente per ottemperare a tutti i “criteri economico – finanziari” dettati dallo stesso Manuale delle Licenze UEFA.
La FIGC, costituitasi in giudizio, ha ritenuto infondati tutti i motivi del ricorso, pur “rimettendosi in ogni caso alla decisione giudiziaria dell’Alta Corte”. La soc. Torino, in quanto controinteressata (essendo posizionata al settimo posto della classifica del campionato di Serie A), si è costituita in giudizio e con ampiezza di argomentazioni ha sostenuto la perentorietà del termine del 31 marzo, la non scusabilità dell’eventuale errore e l’impossibilità di effettuare un giudizio di “graduazione” delle conseguenze di un mancato adempimento (punto F04) che comporta in via automatica il puro e semplice diniego della licenza.


Considerato in diritto
Nella vicenda sottoposta all’esame di questa Alta Corte si rilevano non pochi atti, indicazioni e comportamenti che provengono da autori diversi, caratterizzati da contraddittorietà. Tuttavia, ritiene il Collegio, la vicenda va inquadrata nell’ambito di regole – quelle dettate dalla UEFA nel “Manuale” – che disciplinano una ammissione a “numero chiuso” ad un campionato sovranazionale in cui la “par condicio” tra gli aspiranti deve essere garantita nello stesso modo per tutti i Paesi interessati.
1) Il Manuale UEFA costituisce norma “ad hoc” inderogabile e non annullabile né modificabile né integrabile in alcuna parte, se non ad opera della stessa UEFA che ne ha la titolarità e responsabilità.
2) I criteri contenuti nel “Manuale” ai fini della abilitazione – costituita dalla Licenza UEFA alle squadre che abbiano ottenuto un determinato piazzamento nel campionato nazionale – sono criteri oggettivi e le prescrizioni in essi indicate debbono essere osservate, giacché una sola carenza o ritardo – per quelle indicate con la lettera A), cioè inderogabili – ha come automatica conseguenza l’impossibilità di concedere la Licenza UEFA.
Il sistema delle Licenze UEFA, ed il relativo Manuale, sono stati introdotti allo scopo di “integrare, con prescrizioni e requisiti, il dato primario ed incontrovertibile, cioè il risultato sportivo della squadra sui campi da gioco”. Tale sistema, perciò – e a ciò deve limitarsi l’Alta Corte – può confermare oppure cambiare, alla stregua dei criteri del Manuale, il risultato “sportivo”. E in ciò è la rilevanza delle regole UEFA.
3) Ne deriva che il diniego di Licenza UEFA non è una “sanzione”, ma ha un effetto automatico, predeterminato con chiarezza dal Manuale, della inottemperanza oggettiva a una prescrizione/requisito classificata come A) (cioè inderogabile). Per questo motivo le pur ampie ed apprezzabili argomentazioni della ricorrente soc. Parma circa la scusabilità degli errori commessi non possono essere accolte dal Collegio.
3a) In via generale, infatti, la scusabilità dell’errore sulla configurazione formale e documentale dei pagamenti ai calciatori, in quanto derivante da un errore dello studio di consulenza cui il Parma si era affidato, non è opponibile all’Ufficio UEFA, soggetto del tutto estraneo rispetto al rapporto professionale da cui l’errore denunciato deriverebbe.
3b) Quanto alla scusabilità dell’errore sulla perentorietà del termine, malgrado la evidente contraddittorietà tra il documento “Tempistica degli adempimenti” (in cui figura la locuzione “entro il 31 marzo”) da un lato, e il Manuale, nonché la pagina extranet riferita al calendario adempimenti (in cui la caratteristica decadenziale del termine emerge invece con chiarezza) il collegio deve ribadire, anzitutto, che la fonte normativa “Manuale”, anche nella sua versione originale in inglese, prevale comunque nell’eventuale caso di discordanza con istruzioni (quali il doc. “Tempistica”) diffuse dall’Ufficio UEFA italiano.

E’, in tale senso, la costante giurisprudenza del Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, con cui si è più volte ribadito che la natura decadenziale dei termini per adempiere a prescrizioni inderogabili (di tipo A) esclude ogni valutazione soggettiva sulle ragioni che hanno indotto la parte interessata a non rispettare detto termine. Se ciò avvenisse, dato il “numero chiuso” delle Licenze UEFA, tale rilevanza del dato soggettivo potrebbe risultare a scapito degli altri aspiranti, che secondo regole di “par condicio” non hanno violato alcuna prescrizione sostanziale o temporale inderogabile.
3c) Egualmente, non trattandosi di una “sanzione”, il diniego di Licenze UEFA non è soggetto a valutazione di “proporzionalita” tra il modesto ammontare della somma tardivamente versata e le assai più consistenti somme che la soc. Parma ha versato per tutti gli altri adempimenti. Il Manuale non prevede altro che una conseguenza – non sanzione – e cioè l’impossibilità di concedere la Licenza.
4) Passando alla questione principale che la soc. Parma ha dedotto nel ricorso, ritiene il Collegio che l’interpretazione della natura dei pagamenti in anticipo, come formulata dalla Commissione di 2° grado, sia corretta.
In effetti, sia pure per un dedotto errore imputabile ad altri (e non rilevante, come già detto, ai fini del superamento della oggettiva violazione), i pagamenti effettuati con i cedolini di novembre e dicembre 2013 sono stati obiettivamente configurati come anticipi sui pagamenti di somme contrattualmente dovute, e non come prestiti finanziari.
Allorché la soc. Parma ha effettuato e documentato detti pagamenti, infatti, essa ha accantonato un ammontare corrispondente alla ritenuta fiscale.
Ciò ha determinato, in capo alla società, l’obbligo di versare entro trenta giorni dall’accantonamento gli importi trattenuti. Il che, pacificamente, non è avvenuto. Ed è altresì evidente che una configurazione di detti pagamenti come “prestito finanziario” avrebbe implicato il versamento ai giocatori dell’intera somma e non di un importo decurtato da un accantonamento (il che corrisponde, invece, al sistema della ritenuta del datore di lavoro sui pagamenti contrattuali al dipendente). Detta configurazione, pertanto, ha comportato la corretta contestazione alla soc. Parma dell’inadempimento alla prescrizione di cui al parag. 14.7 – F04 del Manuale, con le conseguenze indicate al subparag.14.7.5 seguente.
5) La ricorrente ha dedotto, nelle certamente apprezzabili memorie integrative del ricorso, un altro argomento su cui il Collegio ritiene doversi soffermare.
5a) E’ pacifico che alla data del 31 marzo, ma anche alla successiva data di presentazione del ricorso, alla soc. Parma non era stata notificata alcuna contestazione dagli organi finanziari circa l’inadempimento fiscale per il mancato versamento entro trenta giorni dall’accantonamento degli importi trattenuti nei cedolini di novembre e dicembre 2013.
5b) E’ altrettanto pacifico che il momento della prima contestazione al Parma di detto adempimento inderogabile è stato il 15 aprile 2014, con comunicazione formale il 30 aprile.
5c) Sostiene la ricorrente, richiamando il primo capoverso del parag. 14.7 – F04 del Manuale, che essa avrebbe potuto rispettare la prescrizione inderogabile qualora, prima della data del 31 marzo, le fosse stata notificata una contestazione, ovvero un accertamento fiscale, cui sarebbe stato possibile opporsi nelle sedi proprie. Al contrario, non essendovi stata alcuna contestazione fiscale, la soc. Parma avrebbe preso conoscenza della mancanza del requisito soltanto quando il termine del 31 marzo era ampiamente scaduto, non potendo così esercitare in alcun modo il proprio diritto di difesa.
5d) La condizione, cioè, della società a cui nessuna contestazione fiscale sia pervenuta entro il 31 marzo sarebbe più sfavorevole rispetto a quella della società che, alla stessa data, è in lite col Fisco per opporsi alla pretesa tributaria e che nondimeno può ottenere la Licenza UEFA.
5e) Ritiene il Collegio che, effettivamente, il combinato disposto di tali principi e gli effetti che – in questo caso – ne derivano, confliggano con ogni ragionevole principio di difesa di un diritto dinanzi alla pretesa di una autorità terza.
Ma, come è evidente, tale effetto di concreta ed ingiustificata disparità di trattamento deriva da una disposizione del Manuale UEFA, normativa sovranazionale applicabile come “legge di gara” in tale esclusivo ambito, e che rispetto a tale disposizione non è dato all’Alta Corte il potere di annullamento o di modifica, ed è pure precluso il sindacato di costituzionalità – ammesso che l’Alta Corte abbia il potere di sollevare la questione – non rientrando il Manuale tra le disposizioni per cui è ipotizzabile nell’ordinamento italiano tale sindacato.
5f) Il Collegio, pertanto, deve limitarsi a segnalare, alle Autorità sportive che ne hanno la competenza, come in detto sistema di disposizioni (parag. 14.7 del Manuale) è preclusa ogni difesa alla società a cui, per un qualsiasi motivo, l’inadempimento fiscale, cui potrebbe opporsi e per ciò solo rispettare il requisito ivi prescritto, venga contestato a termine ormai scaduto.
5g) Non è, in altri termini, in discussione il carattere decadenziale del termine del 31 marzo (su cui si è già detto), ma il fatto che detto termine possa spirare in danno di una società che, spiegabilmente, è convinta di avere ottemperato a tutte le prescrizioni ed a cui nessuna obiezione specifica sia stata mossa.
Dedurre la rimessione in termini, o insistere sulla natura ordinatoria di tale termine contrasterebbe con principi, che il Collegio condivide, volti a stabilire una “legge di gara” uguale per tutti gli aspiranti in tutti i paesi UEFA. Ma, nel caso concreto, la forte – e non risolvibile dall’Alta Corte – incongruità ed ingiustizia delle conseguenze applicative del parag. 14.7 sul punto delineato resta elemento che il Collegio ha dovuto sottolineare con forza.
Deriva da quanto sopra esposto che il ricorso deve essere respinto, confermando così la impugnata decisione.

Sussistono evidenti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.
l’Alta Corte di Giustizia Sportiva

Respinge il ricorso.