Centrocampista argentino che fece le fortune del Real Madrid, si muoveva in campo con una eleganza unica. L’arrivo al Milan ne segnò il declino a causa di un grave infortunio.

Fernando Redondo con la Coppa Campioni del 2000  (foto  www.tikiytaka.com)

Fernando Redondo con la Coppa Campioni del 2000 (foto www.tikiytaka.com)

Nel calcio moderno è da qualche anno in voga il termine “tuttocampista” per riferirsi a quel tipo di calciatore, generalmente un centrocampista, che ha facilità nello svolgere sia le mansioni difensive che quelle offensive. Oggi si riferisce soprattutto a centrocampisti potenti fisicamente e con capacità di inserirsi in area avversaria dalle retrovie.

Diversi anni fa, invece, serviva come riferimento per quei calciatori efficaci alla pari nella fase di recupero della palla ed in quella di impostazione dell’azione, dotati di fisico prestante ma anche di mezzi tecnici notevoli. Il prototipo di questo centrocampista era Fernando Redondo, esemplare unico per eccellenza.

Aveva il fisico di Busquets, la visione di gioco di Xavi e la creatività di Iniesta, il tutto condito da pura “garra” argentina e da una eleganza che ne facevano un fuoriclasse magnifico. Ne raccolse i frutti soprattutto il Real Madrid, mentre non poté farlo il Milan, che lo acquistò al culmine della sua carriera ma ne vide solo il tramonto, fortemente accelerato da un infortunio che lo tenne ai box per due anni e mezzo.

Fernando Carlos Redondo Neri nacque il 6 Giugno del 1969 ad Androgué, piccolo comune in provincia di Buenos Aires. Di buona famiglia, iniziò giocando a calcetto prima di entrare nelle giovanili dell’Argentinos Juniors, club della capitale argentina con cui debuttò non ancora sedicenne. Era il 1985 e quell’anno Fernando vinse da capitano il Sudamericano Under-16 giocato in casa, per poi partecipare senza fortuna l’anno successivo al Mondiale di categoria in Cina. Nell’Argentinos Juniors militò fino al 1990 (collezionando 75 presenze ed 1 gol), quando – dopo aver rifiutato di partecipare alla Coppa del Mondo italiana per non interrompere gli studi universitari – si liberò per trasferirsi in Spagna al neopromosso Tenerife.

Sulle Isole Canarie restò quattro stagioni (103 presenze ed 8 gol), mettendo in mostra tutto il suo repertorio e lasciando la squadra con una storica qualificazione alla Coppa UEFA, facendo vivere al pubblico di Santa Cruz il periodo migliore della storia del club. Nei due anni precedenti era stato uno dei perni della nazionale argentina che sotto la guida di Alfio Basile vinse la prima edizione della Confederations Cup nel 1992 e la Copa América nel 1993, gli ultimi allori depositati nella bacheca dell’albiceleste.
Dopo USA ’94, passò al Real Madrid per volontà di Jorge Valdano, nuovo tecnico “merengue”, che lo aveva già avuto al Tenerife. Al “Santiago Bernabéu” espresse il meglio di sé, centro del gioco sia con Valdano che con Capello (da cui fu definito “un calciatore tatticamente perfetto”) che con Heynckes, Hiddink, Toshack e Del Bosque. 225 gettoni e 5 reti a Madrid gli valsero due titoli di Liga (1995 e 1997), una Supercoppa di Spagna (1997), due Champions League (1998 e 2000) ed una Coppa Intercontinentale (1998).

Intanto, la sua esperienza in nazionale era finita causa frizioni col nuovo ct Daniel Passarella, che impose a tutti i convocati di tagliarsi i capelli, cosa che Redondo si rifiutò categoricamente di fare per una questione di principio, perdendosi Francia ’98 (stessa sorte toccò a Caniggia) e chiudendo con 19 presenze.
Nel 2000 si chiuse anche la sua avventura in Spagna. Il Real Madrid si era appena laureato campione d’Europa e l’argentino era stato eletto miglior giocatore della competizione, ma quell’estate alla “Casa Blanca” ci furono le lezioni presidenziali. Fernando Redondo, sposato con la figlia del presidente uscente Lorenzo Sanz, prese posizione e, così, la prima decisione del neo-eletto Florentino Pérez fu di farlo fuori, vendendolo al Milan in cambio di 30 miliardi delle vecchie Lire, una cessione che causò proteste e forti critiche in seno alla nuova dirigenza. In rossonero, però, non si vide in campo prima del 3 Dicembre del 2002, frenato per quasi due anni e mezzo (periodo in cui decise di non accettare lo stipendio) da un gravissimo infortunio ad un ginocchio durante il suo primo allenamento a Milanello. Si ritirò nel 2004 (33 gare ufficiali e nessun gol a Milano), incapace di ritrovare la condizione atletica. Al Milan vinse uno Scudetto (2004), una Coppa Italia (2003), una Champions League (2003) ed una Supercoppa Europea (2003).


Statistiche e palmares, però, dicono poco, quasi niente, di cosa fu Fernando Redondo. A Madrid lo chiamavano “el Principe” per la sua eleganza, la sua bellezza estetica, la sua leadership nascosta dietro una falsa timidezza ed un codice morale tanto rigido come inusuale nel mondo del pallone, che durante la sua carriera gli fece prendere decisioni difficili spesso dannose professionalmente.

A livello calcistico, invece, era il punto di riferimento di qualsiasi squadra in cui giocasse. Meraviglioso nel lento incedere, sempre sicuro e mai ciondolante nonostante la statura (1 metro e 86 di altezza), abile nell’interrompere l’azione avversaria senza tirarsi indietro se c’era da dare “sportellate” agli avversari, preciso ed essenziale nei passaggi, sempre alla ricerca della soluzione più semplice e giusta per dare avvio al gioco, ma anche capace di rompere l’equilibrio con dribbling sopraffini e giocate da sogno, come il colpo di tacco con cui si liberò di Gary Neville nella gara di ritorno dei Quarti di Finale di Champions giocata ad “Old Trafford” contro il Manchester United.

Al Real Madrid lo han rimpianto per anni e lo considerano il miglior centrocampista che abbia calcato l’erba del “Bernabéu”, la nazionale argentina ancora ne cerca il successore ed in vista della Coppa del Mondo che inizia la prossima settima avrebbe bisogno come il pane di uno come lui. Ma un altro Fernando Redondo non c’è, non c’è mai stato prima e difficilmente ci sarà in futuro.

 

Mario Cipriano