La critica ironizzò molto sul suo stile: lo svizzero in campo era elegante ma poco grintoso. Giocò con l’Inter di Hodgson per una sola stagione, meglio in patria e in Germania!
Diversi tifosi interisti, quando sentono il suo nome, sorridono amaramente per poi ricordarlo non per le gesta tecniche in campo ma per un aneddoto cinematografico. La sua maglietta nerazzurra numero 21, infatti, fu protagonista di un piccola scena nel film comico “Tre uomini e una gamba” (1997) dei simpaticissimi Aldo, Giovanni e Giacomo. In quel piccolo contesto la maglia dello svizzero Sforza, e quindi lui stesso, non viene di certo incensata e idolatrata come un totem: praticamente la vicenda era la fotografia perfetta dell’unica stagione agonistica del centrocampista in Italia.
Il fiasco si concretizzò per una serie di circostanze, lui ci mise del suo ma fu anche sfortunato perché arrivò in un periodo particolarmente difficile per l’Inter. Una squadra ricca e ambiziosa ma che non riusciva a vincere, sfiorava l’obiettivo per poi deludere in dirittura d’arrivo. Ogni singolo errore veniva pagato a caro prezzo, e il destino di questo promettente ragazzo seguì proprio questo stesso percorso…
Ciriaco Sforza nacque a Wohlen, in Svizzera, il 2 marzo del 1970; si dimostrò giovanissimo un elemento valido e promettente nella linea mediana. Era un centrocampista elegante, ottimo in regia e capace anche di far male in zona gol: Sforza aveva bruciato le tappe in patria con Aarau e Grasshoppers (dove vinse uno scudetto) e a 23 anni era già titolare nella Bundesliga con la maglia del Kaiserslautern. In ambito internazionale, poi, si era distinto con la sua nazionale, la Svizzera: grazie al suo apporto gli elvetici si erano qualificati a Usa ’94 in un girone difficilissimo classificandosi secondi dietro all’Italia di Sacchi e davanti a Portogallo e Scozia.
Per la Svizzera già la partecipazione alla fase finale del mondiale americano era un avvenimento storico, ma i ragazzi del Ct Hodgson vollero addirittura esagerare e si qualificarono nel gruppo 1 (quello con Romania, Stati Uniti e Colombia) cedendo solamente agli ottavi con la Spagna (3-0). Sforza giocò tutte e quattro le partite e il suo valore aumentò considerevolmente: nel 1995-96 fu ingaggiato dal glorioso Bayern di Monaco con cui conquistò la Coppa Uefa, poi si trasferì in Italia per il definitivo salto di qualità.
Nell’estate del 1996 firmò con l’Inter e giurò ai suoi nuovi tifosi che avrebbe fatto l’impossibile per riportare il tricolore in nerazzurro. Parole e proclami che non ebbero un seguito, nonostante una rosa altamente competitiva. I nerazzurri potevano contare su campioni del calibro di Youri Djorkaeff, Javier Zanetti, Paul Ince, Ivan Zamorano, il portiere Pagliuca e l’eterno capitano Beppe Bergomi; il tecnico in panchina era proprio l’inglese Roy Hodgson, che Ciriaco ben conosceva dalla nazionale svizzera e che di certo aveva sponsorizzato il suo acquisto (per la cronaca l’Inter aveva sborsato circa 7 miliardi di lire). Il debutto ufficiale in campionato fu perfetto per Sforza, visto che al Friuli di Udine fu proprio lui a siglare il gol partita contro l’Udinese (0-1, 7 settembre 1996).
Un inizio folgorante, ma utile solo per rafforzare l’illusione… Sforza e l’Inter persero consistenza e valore quasi contemporaneamente (il ko a Torino con la Juve, gli stop casalinghi con Samp e Bologna), la cima della classifica divenne presto una chimera e la critica non risparmiò nessuno. Le prestazioni dello svizzero furono troppo discontinue e oscillanti, le accuse erano soprattutto quelle di poca grinta e piede poco sensibile ad un gioco manovrato. I maligni gli suggerivano di lavorare come modello nelle sfilate nel centro di Milano, forse più adatte al suo temperamento…. L’Inter si classificò al terzo posto in campionato, fu eliminata in semifinale dal Napoli in Coppa Italia e perse la finale di Coppa Uefa ai rigori contro lo Schalke 04. E la delusione europea (Sforza segnò 3 gol nella competizione, col Guingamp e doppietta col Boavista) fu da spartiacque per molti protagonisti.
La stagione successiva l’Inter acquistò molti campioni fra cui il brasiliano Ronaldo, mentre in panchina arrivò Gigi Simoni. Per Sforza non c’era più spazio, tornò in Germania senza troppi complimenti: forse un’altra possibilità l’avrebbe anche meritata ma la dirigenza interista, Moratti in testa, era spesso frettolosa e preferì resettare gran parte dell’organico. La carriera dell’elvetico proseguì di nuovo col Kaiserslautern, dove era stimato e apprezzato dai tifosi, ed ebbe un’altra parentesi di due anni col Bayern di Monaco.
Qui si laureò persino campione d’Europa e del mondo, anche se in realtà vinse la Champions e l’Intercontinentale da comprimario visto che era spesso in panchina. Era il 2001; cinque anni dopo si ritirò dalle scene per poi intraprendere l’attività di allenatore professionista. Finora i risultati non sono stati straordinari, ma gli stimoli e l’età sono dalla sua parte. Il sogno nel cassetto è quello di diventare il selezionatore della sua Svizzera: da calciatore sfoderò prestazioni superbe (in tutto 79 presenze e 7 gol), magari da Ct potrebbe addirittura migliorarsi…
Lucio Iaccarino