Per Pogba Laporta dichiara: “Dovremmo trattare con Raiola e non con la Juve”. E intanto su Neymar pende un’inchiesta.

Joan Laporta

Joan Laporta


Da anni a questa parte il Barcellona ha iniziato la sua scalata all’Olimpo del calcio. Ormai da tempo il club blaugrana è divenuto una leggenda dello sport. Per le molte vittorie, per il suo celebre gioco spettacolare, per i campionissimi che ne hanno vestito la maglia, per il fatto che rappresenti non solo una città ma una intera regione, la Catalogna, che riflette e affida pienamente la sua identità al club calcistico che la rappresenta nel mondo. In questo momento, dopo aver compiuto l’impresa di diventare la prima squadra a ottenere il ‘triplete’ per due volte nella storia, il Barça vive il suo massimo splendore, come mai nella sua ultracentenaria esistenza. Il suo prestigio ha eguagliato, se non superato, quello dei rivali eterni del Real Madrid, fino a qualche tempo fa il sodalizio più illustre del mondo.

Una storia fantastica, incredibile, stupenda. Con un neo però. Ciò che non asseconda a dovere l’infinito blasone blaugrana è lo stile dei suoi dirigenti e la sua amministrazione. Sono lontani i tempi di Josep Lluís Núñez, che cominciò a costruire il Barcellona dei sogni restando al timone per 22 anni, dal 1978 al 2000. Un presidente vecchio stile, amato, personaggio signorile alla Gianni Agnelli come solo il calcio di qualche tempo fa sapeva offrire che lasciò quando nel pallone l’importanza del business iniziava a soppiantare lo sport.


Ora è tutto cambiato. La presidenza del Barça è nel tempo divenuto una vetrina mediatica ambitissima. Anche per risvolti economici e personali di chi la riveste. I due principali candidati alla presidenza, Laporta e Bartomeu, si danno battaglia sui quotidiani a suon di roboanti promesse di mercato. Joan Laporta è un tipo particolare, cerca consensi elettorali anche attaccando i collaboratori del club, Braida e Soler, perchè rei di aver “messo in ridicolo” il club per non essere riusciti finora a concludere l’operazione, di per sè mica facile. “La chiave per l’arrivo di Pogba è nelle mani del suo agente Mino Raiola – dichiara – Io rispetto la Juventus ma se c’è reale interesse per il calciatore l’operazione si sarebbe dovuta fare in una maniera differente”. Un rispetto più a parole che a fatti verso la società bianconera. Trattare con un procuratore prima ancora che con il club proprietario di un giocatore è vietato dalle normative. Ma questo, a Barcellona, appare normale e a Laporta non importa. Noi siamo “Mes que un club”, dunque, noi possiamo. Questo il senso.

Ma oltre a ciò, il Barça è già nell’occhio del ciclone per altri aspetti. Sotto la lente della magistratura in Spagna c’è il trasferimento avvenuto nel 2013 di Neymar dal Brasile alla società blaugrana. La denuncia è stata presentata dalla Dis, un fondo d’investimento che deteneva il 40% dei diritti del giocatore che reclama la sua quota dei proventi della cessione, occultati e mai versati secondo l’inchiesta. 57,1 milioni di euro dichiarati da parte del club catalano, ma il tribunale spagnolo ha stimato l’ammontare pagato in 83,3 milioni di euro. Sandro Rosell e Josep Maria Bartomeu, il precedente e l’attuale presidente sono stati rinviati a giudizio per evasione fiscale in relazione all’affare. Sul Barcellona pende inoltre una denuncia per irregolarità finanziarie, con la magistratura spagnola che già da qualche tempo ha voluto vederci chiaro sulla gestione dei principali club di calcio del Paese.

Come dire che i successi sul campo del Barça per quanto legittimamente ottenuti sul campo, possiedono a monte aspetti poco chiari e la giustizia dovrà dire se effettivamente la condotta dei blaugrana sia stata o meno regolare. Lo stile Barça non fa giustizia alla meravigliosa squadra che ha incantato e continua a incantare il mondo. Tante meraviglie sul campo, altrettanti intrighi e oscuri retroscena negli uffici e fra le carte protocollate.

Critiche arrivarono anche prima dell’ultimo clasico col Real dal presidente della Liga, Tebas, che criticò gli insulti alla Spagna e al Re ascoltati ripetuti al Nou Camp. Famosa è anche l’indisponenza con cui l’ambiente blaugrana affronta le grandi sconfitte. Celebre resta il tentativo di rovinare la festa all’Inter che al Nou Camp nel 2o10 festeggiava il ritorno in finale di Champions con gli addetti al campo che accesero gli idranti. Una caduta di stile, appunto. Che va registrato, perchè per vincere ci vuole pure quello.