L’ex centrocampista della Juventus ha intrapreso la carriera da allenatore: dalla scorsa estate è alla guida della Pergolettese (serie D, girone B). Noi lo abbiamo intervistato.

Alessio Tacchinardi, allenatore della Pergolettese

Alessio Tacchinardi, allenatore della Pergolettese

Grinta, leadership, carisma, centrocampista dotato di senso della posizione, un buon lancio e un gran tiro dalla distanza: nell’estate del 1994 il diciannovenne Alessio Tacchinardi da Crema viene acquistato dalla Juventus di Marcello Lippi, tecnico che già lo aveva allenato nell’Atalanta. All’inizio viene impiegato anche come difensore, poi il suo ruolo definitivo diventa quello di centrocampista centrale; amatissimo dai tifosi (il suo nome figura tra le 50 stelle celebrative dello Juventus Stadium), in 11 stagioni con la Juve Alessio ha vinto tutto ed è arrivato sul tetto del mondo. Nel 2008, dopo due anni in Spagna al Villarreal e una stagione in B a Brescia, la scelta di appendere le scarpe al chiodo e iniziare l’avventura da allenatore: ora allena a pochi chilometri da casa, nella sua Crema. Un secondo punto di partenza per la carriera da allenatore?

Partiamo dall’ultima partita, Alessio: 3-1 alla Folgore Caratese nel giorno dell’Epifania. Il girone di ritorno è iniziato bene, quali sono gli obiettivi della Pergolettese per la seconda parte di stagione?
“Spero di salvarmi il prima possibile. I primi due mesi e mezzo sono stati abbastanza duri, non riuscivo a trovare un’identità alla squadra, ad amalgamare i giocatori. Nell’ultimo mese la squadra sta girando a mille, gioca un bel calcio e sono soddisfatto. Una volta raggiunti i punti necessari per conquistare la salvezza e con tutto l’organico a disposizione magari si può pensare di alzare un pochino l’asticella”.

Il Piacenza è in fuga, Lecco e Seregno inseguono, poi la classifica è abbastanza corta: che campionato ti sembra?
“Un campionato tosto. Ci sono tantissimi giocatori di Lega Pro che sono scesi di categoria; le prime 4-5 squadre potrebbero anche disputare il campionato di Lega Pro, mi sembrano al livello delle ultime 6-7 squadre del girone A. La classifica è davvero corta, noi siamo ad un punto dai play-off, può succedere di tutto da qui alla fine del torneo”.

Facciamo un passo indietro: ci racconti gli inizi della tua carriera da calciatore?
“Ho iniziato a giocare nel Pergocrema, squadra della mia città, poi ho avuto la fortuna di entrare a far parte del settore giovanile dell’Atalanta e conoscere Prandelli, un allenatore che mi ha dato tantissimo; da ragazzino ero mezzapunta (poi Prandelli mi ha fatto giocare regista), per allenarmi facevo molti sacrifici per recarmi al campo. Con il settore giovanile dell’Atalanta ci siamo tolti diverse soddisfazioni, poi sono arrivato alla Juve. Da piccolino uno sogna di diventare calciatore e quando riesci ad esordire in serie A e fare qualcosa di importante nel calcio credo sia il massimo: ho coronato il sogno di una vita”.

Tra due mesi si svolgerà il Torneo di Viareggio, competizione che hai vinto nel 1993 con la Primavera dell’Atalanta: cosa pensi di questa manifestazione?
“E’ una manifestazione fantastica, un bel torneo. Ma le cose sono cambiate rispetto a quando l’ho vinto io: molti miei compagni l’anno dopo erano in serie A, oggi anche se vinci il Viareggio è difficile che tu riesca a giocare in prima squadra. Gli allenatori hanno troppa pressione e non hanno la pazienza di aspettare un calciatore giovane, prima c’erano meno stranieri, meno business ed era più facile che un giocatore che vinceva il torneo riuscisse a sfondare”.

Sei sempre stato tifoso bianconero: cosa ha significato per te giocare nella Juve?
“Per un ragazzo come me che ha sempre tifato per la Juve è stato il massimo. Ho avuto la possibilità di conoscere la famiglia Agnelli, che è stata un punto di riferimento e mi ha fatto crescere come uomo. La Juve ti dà una mentalità vincente, è stata una grandissima soddisfazione giocare a calcio ad alti livelli con la maglia bianconera. All’inizio c’era molta emozione, poi diventa anche un lavoro, ma sicuramente con un sapore speciale”.

Un gol e un aneddoto della tua esperienza bianconera.
“Come gol direi quello nel derby contro il Torino, la stracittadina ha sempre un significato particolare. Per quanto riguarda l’aneddoto, mi ricordo quando a Villar Perosa si presentò l’Avvocato Gianni Agnelli; io ero appena arrivato alla Juve, avevo 19 anni e lui mi si avvicinò proferendo queste parole: “Caro Tacchinardi, negli ultimi 5 anni dall’Atalanta abbiamo preso solo bidoni, mi raccomando…” Lì ho capito che forse alla Juve c’era un pochino di pressione, diciamo che ci è andato giù morbido (ride)”.

Hai avuto diversi allenatori: a chi sei più legato?
“Ho avuto profonda stima e ammirazione per tanti. Ognuno ha le sue idee, diciamo che mi piaceva molto l’idea di calcio di Pellegrini quando ero al Villarreal. Ho avuto la fortuna e l’onore di incontrare allenatori del calibro di Lippi, Capello, Ancelotti, Prandelli, Cosmi, in Nazionale Sacchi, Maldini e Zoff: stiamo parlando di mostri sacri, il top”.

Nel 2005, dopo 11 anni nella Juve, il passaggio al Villarreal: come ti sei trovato in Spagna?
“Andare via da Torino è stato un trauma, mi sentivo a casa. Sono andato in un campionato totalmente diverso dalla serie A. All’inizio non è stato facile, lì c’è una cultura e una metodologia diversa; poi le cose sono andate bene, abbiamo anche raggiunto una semifinale di Champions League, ai quarti eliminammo l’Inter. Nella seconda stagione ho avuto dei problemi fisici, ma il bilancio è sicuramente positivo, è stata un’esperienza fantastica”.

L’ultima stagione l’hai vissuta a Brescia in serie B: hai smesso di giocare abbastanza presto…
“Ho smesso dopo aver perso le finali playoff col Brescia per mancanza di stimoli; se fossimo andati in serie A onestamente avrei continuato. Giocare in stadi dove c’era pochissima gente non era facile anche dal punto di vista mentale per me. Volevo divertirmi, avere le giuste motivazioni e stare vicino a casa, ma dopo l’esperienza a Brescia non ho trovato la squadra giusta. Per grande rispetto della famiglia Corioni e dei tifosi bresciani ho scelto di non andare avanti”.

Il momento più bello e il più brutto della carriera da calciatore.
“Il momento più bello è stata la conquista del primo scudetto, per quanto riguarda il peggiore dico la serata di Manchester (Champions League persa ai rigori nel 2003 contro il Milan in una finale tutta italiana)”.

Hai rimpianti?
“Sì, le tre finali di Champions League perse, per vari motivi. Ne parlavo anche con Lippi a Manchester subito dopo aver perso la terza finale: abbiamo fatto qualcosa di straordinario, però almeno una delle tre dovevamo vincerla”.

In campo avevi grande leadership e personalità: quando è maturata la decisione di intraprendere la carriera di allenatore?
“Mi è sempre piaciuto, anche in campo ero uno che parlava molto. L’intenzione è maturata con maggior convinzione durante l’ultima stagione al Brescia. Allenare è bellissimo, anche se farlo in Italia è molto difficile, tutti si sentono mister, c’è molta pressione e se non vinci subito sei criticato…”.

Che allenatore è Alessio Tacchinardi?
“Un allenatore con tanta passione, tante idee e una sua idea di calcio. Con serietà e voglia di migliorare proverò ad andare avanti, ma senza fare il passo più lungo della gamba: per arrivare a certi livelli devi essere pronto. A volte gli ex calciatori sbagliano e pensano di poter puntare subito in alto quando intraprendono la carriera da allenatori, dando un po’ di cose per scontate. Credo ci voglia la gavetta: è meglio allenare un giocatore “scarso” e fargli raggiungere un livello più alto rispetto ad avere a disposizione un giocatore già pronto. Mi piace il percorso che sto facendo: se mai dovessi arrivare ad alti livelli come allenatore sarà perché me lo sono guadagnato e non perché ho questo cognome”.

E fuori dal campo che persona sei?
“Una persona piacevole, divertente, onesta e con dei valori forti. Ho una splendida famiglia, una moglie e due bambini (juventini, il maggiore gioca già a calcio). E poi tanta passione e amore per il calcio”.

Se non avessi fatto il calciatore, saresti diventato un…
“Sicuramente un architetto. Penso che l’architetto sia un po’ come un allenatore, plasma la squadra; sono un tipo molto creativo e mi piace costruire una cosa seguendo le mie idee”.

Uno sguardo sulla serie A: che campionato ti sembra?
“Quest’anno il campionato è avvincente ed equilibrato; sono arrivati giocatori di spessore, c’è qualità. Il torneo è tosto e si deciderà alle ultime giornate. Se la Juve dovesse andare avanti in Champions (anche se con il Bayern sarà molto difficile) potrebbe perdere punti in campionato e a beneficiarne sarebbe l’Inter. Tra le favorite indico anche il Napoli e la Fiorentina (impegnate in Europa League), altro fattore che potrebbe incidere è il mercato di gennaio”.

Ti rivedi in qualche calciatore? C’è l’erede di Tacchinardi?
“Sinceramente no. Marchisio è più forte di me, è un giocatore completo, Sturaro è diverso da me, ha altre caratteristiche”.

Alessandro Marone