Tutti pazzi per Diego
Non puoi che essere un predestinato se a sedici anni ti cali sulle spalle la maglia numero 10 del Santos, praticamente un Monumento di cotone che pesa, però, come un monumento di marmo. «Se hai ambizioni non puoi smettere di sognare» . Diego Ribeiro da Cunha sicuramente non ha smesso di sognare e non ha smesso di avere ambizioni: in fondo le coltiva da quando vestì quella maglia, la maglia di Pelè e guidava il Santos, insieme a Robinho, alla conquista nel 2002 del campionato brasiliano. Aveva appena diciassette anni. Ora Diego di anni ne ha ventiquattro (spegnerà le candeline l’ultimo giorno del mese) e l’altra sera al Weserstadion in una partita che per lui ha il sapore del futuro (lo ha seguito la Juventus, non dispiace a Inter, Fiorentina e Napoli, si era parlato la scorsa estate di un suo passaggio al Chelsea e pure il Real Madrid non era stato insensibile al suo fascino), ha spiegato per quali motivi l’allenatore che lo lanciò in Brasile in prima squadra stravedeva per lui.
Carlo Ancelotti, alla fine della partita, lo ha detto chiaramente: «Può giocare nel campionato italiano, può giocare in qualsiasi campionato. Nella trequarti è bravissimo» . Già, il problema è questo: la posizione, la sua non esaltante attitudine al lavoro difensivo perché nel campionato brasiliano può bastare saper guidare l’attacco ma in Europa anche ai trequartisti viene chiesto qualcosa di più, soprattutto in una fase in cui gli interpreti di questo ruolo sono stati rivalutati e rilanciati.
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Antonio Maglie
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