MILANELLO (Varese), 9 agosto 2006 - Nulla sarà più come prima, ma questo Rino Gattuso lo sa benissimo. E in fondo non gli dispiace, anche se finge di infastidirsi al pensiero che la sua villa di Schiavonea sia ormai meta di pellegrinaggio dei tifosi. Da sempre Rino ha dovuto combattere con le etichette: all’inizio negative, poi positive, ma sempre un po’ fastidiose. Rino è Rino: uno che ti sorride con gli occhi anche se sembra scontroso, che è generoso, che parla chiaro, che se gli stai antipatico non te lo nasconde, che è un po’ permaloso ma poi chiarisce le cose guardandoti in faccia e stringendoti la mano. Un istintivo, dice lui. Un istintivo che ragiona, in realtà.
- Nove luglio 2006, ore 20.45: Gattuso rientra nello spogliatoio di Berlino sull’1-1 di Italia-Francia e pensa...
"... A tutto e niente. Alla voglia di vincere, alla paura di perdere che ti fa correre più veloce. Questa gioia me la godrò solo a fine carriera".
- Nove agosto 2006, ore 20.45: Gattuso entra sul campo di San Siro per l’andata dei preliminari e pensa...
"... Che ci hanno tolto qualcosa che meritavamo e che dobbiamo riprendercela contro la Stella Rossa. Che ci hanno costretto ad accorciare le vacanze. Che è bello giocare a San Siro. Che si ricomincia a correre".
- Si avverte un po’ di inquietudine su questa gara: sensazione giusta?
"Sì, rispetto agli altri preliminari siamo meno allenati. Lo sappiamo e cercheremo di sfruttare altre qualità: esperienza, tecnica, possesso palla".
- Sono già stati venduti 42.000 biglietti.
"Una notizia che mi riempie d’orgoglio e mi fa davvero felice. Mai come questa volta abbiamo bisogno dei nostri tifosi: li ringrazio fin d’ora, in attesa di farlo in campo. Da me e dagli altri azzurri mondiali la gente si aspetterà sempre di più, ma non sono preoccupato. Voglio solo stare bene fisicamente e psicologicamente, perché è la testa che fa muovere le gambe".
- Ha vinto tutto: come trova gli stimoli per continuare a giocare nella stessa squadra e nello stesso Paese?
"La risposta è sempre lì, nella testa. Bisogna ragionare, ricordarsi di aver firmato un contratto, porsi degli obiettivi. Se non svalvoli, non è difficile".
- Quindi non ipotizza più un futuro lontano dal Milan?
"Non ci penso più. Dopo Istanbul non stavo bene con me stesso e avevo quasi deciso di cambiare aria. Ma il problema non era il Milan, ero io: la società mi ha aiutato facendomi capire che faccio parte di una famiglia".
- Anche perché c’è una fascia di capitano da indossare spesso...
"E’ prestigiosa: i capitani del Milan sono entrati nella storia. Ma spero che Maldini e Costacurta resistano a lungo: fin quando ci saranno loro, lo spogliatoio sarà in ordine".
- Il calcio ad alti livelli ha cambiato il suo carattere?
"E’ diverso l’approccio a molte cose. Credo di essere migliorato grazie all’esempio di alcuni campioni: campioni nella vita, non solo nel calcio".
- Lei è un modello per tanti giovani.
"Spero di no... Non mi sento un punto di riferimento: sono un istintivo che non può dare lezioni a nessuno. Rispetto a qualche anno fa, magari, perdo la brocca meno spesso...".
- Che effetto le fa giocare la serie A senza la Juve?
"Non si poteva far finta di nulla, bisognava voltare pagina in modo netto. Ma la società ha pagato troppo per la colpa di poche persone. La cosa triste è che cento anni di grande storia sono stati infangati da qualche telefonata. Sono dispiaciuto per gli juventini, per Ciro Ferrara che si è fatto tatuare sul braccio il numero 8 in caratteri romani e dei suoi 8 scudetti gliene restano 6. Poi penso al Milan che ha perso due titoli per una manciata di punti ed è stato trattato male in sede di giudizio. L’Inter ha lo scudetto sulle maglie, ma non parli di onestà: anche noi siamo onesti. E la classifica è stata riscritta solo perché era necessario per l’iscrizione alle coppe".
- Cannavaro a Madrid, Zambrotta a Barcellona. Lei avrebbe lasciato la barca che affonda?
"Quando il Milan fu coinvolto in Calciopoli dissi che sarei rimasto a prescindere. Però non è giusto giudicare Fabio e Gianluca: ci si deve trovare in quelle condizioni prima di parlare. Fino all’anno scorso io non pensavo che la testa fosse così importante, poi ho capito".
- Un saluto a Lippi.
"E’ stato un maestro: grande allenatore e grande uomo. Nel suo gruppo non c’era nessuna regola scritta, ma era come se ce ne fossero tante perché nessuno sgarrava: questo significa saper gestire una squadra".
- Un messaggio a Donadoni.
"So che è bravo: gli auguro buon lavoro e tanta fortuna. Anche quella è fondamentale".
G.B. Olivero
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