Capitano di una generazione
Un giorno Helenio Herrera, guardando una prova non soddisfacente di un terzino, disse: "Questo ragazzo sará una colonna fondamentale della mia Inter". Lo spilungone bergamasco Giacinto Facchetti, nato a Treviglio il 18 luglio 1942, era al suo esordio assoluto in serie A, (21 maggio 1961, Roma-Inter 0-2). Non aveva convinto troppo, ma la profezia si riveló azzeccata, e fu un pilastro della Grande Inter.
Giacinto Facchetti non era terzino, nasceva attaccante nella Trevigliese, ma una volta arrivato in nerazzurro il Mago Herrera lo piazzó in difesa.
Il dono della sua antica posizione, lo scatto e il fisico imponente, erano le qualità che cercava: un terzino che poteva trasformarsi in ala con le sue falcate, avanzando fino alla porta avversaria.
Inatteso goleador oltre che forte nei recuperi e con una grande progressione, Facchetti diventò giocatore fondamentale nella squadra di Herrera ed inscrisse il proprio nome in tutte le
prodezze degli anni d'oro della Grande Inter e poi della Nazionale.
Con l'Internazionale vince 4 scudetti ( 1963, 1965, 1966, 1971), 2 Coppe Campioni 2 Intercontinentali ( 1964 e 1965) e una Coppa Italia. Terzino sinistro dalle grandi doti fisiche, dotato di grande impegno e determinazione, abile marcatore e ottimo incursore d'area. In nerazzurro giocò 634 partite e realizzò la bellezza di 75 gol: straordinario per longevità e rendimento. Difensore goleador, mai nessun altro pari ruolo ha segnato quanto lui.
Si rivelò indispensabile sul terreno di gioco rimanendo sempre fedele all'Inter diventandone una delle bandiere storiche.
Fu grande anche in azzurro dove debuttò in azzurro a 20 anni quando il Commisario Tecnico Edmondo Fabbri lo chiamò per le qualificazioni della Coppa Europea il 27 marzo 1963 contro la Turchia ad Istanbul (vinse l'Italia per 1-0).
Patercipò a 3 Mondiali ( nel 1966 1970 e 1974 ) e fu uno dei principali interpreti di Italia-Germania 4-3 in Messico.
Anni dopo ricorderà: "Mi volevano condannare all'ergastolo quando la Corea ci sconfisse in Inghilterra, e quattro anni dopo, quando vincemmo sulla Germania per 4 a 3 in Messico, raggiungendo la finale con i brasiliani, la polizia dovette fare un operazione di sicurezza per evitare che i tifosi prendessero mia moglie per portarci in trionfo. Comunque, fra i tanti difetti che ha, il calcio é una delle poche cose che all'estero fa parlar bene degli italiani".
Vinse da capitano l'Europeo del 1968 giocato in casa, fortunato artefice della storica vittoria al lancio della monetina in semifinale contro l'Urss.
Nella metà degli anni '70, Suárez diventa allenatore dell'Inter e mette Facchetti a giocare da libero. Lo spagnolo resta convinto delle qualità del suo antico compagno: un libero mobile, plastico, un po' troppo "cavalleresco" per i suoi gusti ma infine un grande libero. In questa veste riconquista il posto di diritto e, incredibilmente, ritorna in Nazionale per arrivare al suo quarto mondiale.
Facchetti s'infortuna e, stringendo i denti, torna, anche se non in piena forma. Quando Enzo Bearzot chiama i 22 per andare in Argentina, con grande sincerità, il capitano gli fa sapere di non essere in condizioni ideali e chiede al tecnico di scegliere un altro al posto suo.
Facchetti andò ugualmente, come dirigente accompagnatore. L'Italia arrivò quarta.
Il 16 novembre 1977, con 94 partite e 3 gol in maglia azzurra, 70 volte con la fascia di capitano, Giacinto Facchetti lascia la Nazionale: è record, che verrà poi superato solo da Dino Zoff e Paolo Maldini e adesso da Cannavaro.
L'addio per l'Inter arriva il 7 maggio 1978, vincendo 2-1 sul Foggia: nell'arco di tutta la sua pulitissima carriera Facchetti è stato espulso una sola volta.
Chiso col calcio giocato ricopre ruoli di dirigente accompagnatore, diviene rappresentante all'estero dell'Inter, poi vicepresidente dell'Atalanta. Torna a Milano nella società nerazzurra durante la presidenza di Massimo Moratti con il ruolo di direttore generale.
Siede in panchina una sola volta per sostituire Hodgson squalificato in un derby di campionato ( l'Inter vince 1-0).
Viene nominato vicepresidente dopo la morte di Peppino Prisco ed infine Presidente a partire dal mese di gennaio 2004, dopo le dimissioni di Massimo Moratti.
In carriera a detta di tutti si è sempre distinto per la correttezza la lealtà e il garbo, nonchè per la gentilezza e la bontà d'animo.
Da qualche mese malato incurabile Giancinto Facchetti è morto ieri 4 settembre 2006.
Massimo Moratti gli dedica queste parole:
"Caro Cipe,
non sono riuscito a dirti quello che volevo, per paura di farti capire che il tempo era inesorabile e la malattia terribile.
Scusami, ma credo che ti debba ringraziare soprattutto per la pazienza che hai sempre avuto con me.
Per i tuoi occhi che sorridevano, fino alla fine, ai miei entusiasmi o all’ironia con cui cercavo di superare insieme a te momenti difficili.
Pochi giorni fa, pochissimi, mi parlavi con un filo di voce - e con l’espressione di chi ti vuole bene - dell’Inter, proiettando il tuo pensiero in un futuro che andava oltre le nostre povere, ignoranti, possibilità umane.
Qualche mese fa ti chiedevo un po’ scherzando un po’ sul serio come mai non riuscivamo ad avere un arbitro amico, tanto da sentirci almeno una volta protetti, e tu, con uno sguardo fra il dolce e il severo, mi rispondesti che questa cosa non potevo chiedertela, non ne eri capace.
Fantastico. Non ne era capace la tua grande dignità, non ne era capace la tua naturale onestà, la sportività intatta dal primo giorno che entrasti nell’Inter, con Herrera che ti chiamò Cipelletti, sbagliandosi, e da allora, tutti noi ti chiamiamo Cipe. Dolce, intelligente, coraggioso, riservato, lontano da ogni reazione volgare.
Grazie ancora di aver onorato l’Inter, e con lei tutti noi."
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