Grinta e muscoli, ma anche regista e trascinatore. Dunga fu un pilastro della Fiorentina, e da capitano vinse il mondiale Usa ’94 con la Selecao!

Carlos Dunga

Carlos Dunga(foto terra.com)

Il suo soprannome ha un record singolare: probabilmente è il meno adatto nella lunghissima epopea del calcio mondiale. Però, anche se non pertinente, il nostro campione ne è sempre andato fiero in quanto gli ha portato fortuna sin da ragazzino. Il suo vero nome era Carlos Caetano Bledorn Verri ma per tutti era semplicemente Dunga, che in portoghese è il nome di Cucciolo, uno dei sette nani. In generale pensare ad un cucciolo regala sensazioni di tenerezza o innocente dolcezza: in pratica, un discorso lontano anni luce dal suo modo di interpretare il calcio e la vita. Dunga è infatti passato alla storia brasiliana e internazionale per la sua grinta, il suo temperamento roccioso e la sua foga agonistica; talvolta era quasi feroce e inarrestabile nel rincorrere un avversario e arrivare a una vittoria. Colpa forse anche della sua collocazione in campo e magari di quel bizzarro nomignolo che aveva sul gobbo… Cucciolo sì, ma forse di tigre o di squalo!

Carlos nacque il 31 ottobre del 1963 a Rio Grande do Sul, in Brasile, da una famiglia con origini italiane e tedesche. E chissà, forse anche per questo motivo il coriaceo Dunga fu da sempre un brasiliano atipico. Fin dall’inizio della sua carriera calcistica, con la maglia dell’International, si mise in evidenza come centrocampista difensivo dalle spiccate caratteristiche “europee”. Completamente diverso dalla classica figura del cosiddetto “volante” in auge nel calcio carioca, Dunga aveva i suoi punti di forza nell’abilità di intenditore in coesione a un’ottima predisposizione alla regia e al senso tattico. Insomma, un pitbull tutto grinta e muscoli, ma anche fine tessitore della manovra.


Inoltre, Dunga era dotato di un ottimo piede, utile nel calciare all’occorrenza rigori e punizioni dalla distanza, unendo sia la precisione che la potenza. Dal 1984 al 1985 militò nel Corinthians per poi accasarsi successivamente nel Santos e nel Vasco da Gama. Tutti club importanti del suo Brasile, fondamentali per fare esperienza e accumulare prestigio e notorietà. Il trasferimento in Italia fu una felice e gradita conseguenza, col Pisa del compianto ed amato presidente Romeo Anconetani che lo ingaggiò nel 1987/88. La tifoseria nerazzurra, poco abituata alla presenza di stelle brasiliane nella propria squadra, andò in estasi per l’intero campionato. Dunga si fece apprezzare sia per le qualità tecniche sia per quelle umane: molto professionale e disponibile con tutti fuori dal campo per poi trasformarsi in gladiatore nel rettangolo di gioco.

La stagione successiva passò alla Fiorentina, dove colse tante soddisfazioni e, grazie al suo temperamento, divenne uno degli idoli più applauditi della Curva Fiesole. I viola di Dunga, Roberto Baggio e Borgonovo furono i primi, nel 1988/89, a sconfiggere l’Inter di Trapattoni, destinata alla vittoria dello Scudetto dei record. Nel 1990 la Fiorentina sfiorò la grandissima impresa in Coppa Uefa, perdendo soltanto in finale con la Juventus (1-3 e 0-0 nel doppio confronto). Una beffa per Carlos e i toscani, autori comunque di un percorso strepitoso nella manifestazione, avendo eliminato avversari del calibro di Atletico Madrid, Sochaux, Dinamo Kiev, Auxerre e Werder Brema.

Proprio la Juventus, qualche mese dopo, iniziò a trattare con la dirigenza della Fiorentina il doppio acquisto di Baggio e Dunga. In realtà, fu il solo Roby a trasferirsi a Torino: la sua contestata cessione costrinse i Pontello a scappare da Firenze e i nuovi proprietari, i Cecchi Gori, ripartirono proprio dalla conferma di Dunga. Il suo ciclo fiorentino durò altri due anni, conditi dal dinamismo di sempre, e si chiuse mestamente nel 1992, quando fu scaricato e rimpiazzato da Effenberg. Ci rimisero tutti: Carlos firmò per il Pescara, che finì in serie B proprio come la Fiorentina, orfana del suo leader…


Con la Seleçao brasiliana Dunga (91 partite e 6 gol) realizzò un percorso netto di vittorie e trionfi: medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1984, due Coppe America (1989 e 1997), la Confederations Cup (1997) e soprattutto la Coppa del mondo del 1994 in America. Negli Stati Uniti partì quasi ai margini della truppa di mister Parreira, ma ben presto divenne insostituibile a centrocampo, dove scalzò Raì dai gradi di capitano e si segnalò per prestazioni davvero eccezionali. Fra l’altro, Dunga realizzò uno dei rigori decisivi nella finalissima del 17 luglio contro l’Italia di Arrigo Sacchi. Carlos partecipò da protagonista anche nella successiva edizione dei mondiali, quelli del 1998 in Francia. Nonostante un furioso litigio con Bebeto durante la partita d’esordio, un Brasile non eccezionale arrivò nuovamente in finale, dove però cedette ai padroni di casa guidati da Zidane.

Il tramonto della carriera calcistica di Dunga si divise fra lo Stoccarda in Germania e lo Jubilo Iwata in Giappone. Carico di significati fu, poi, il ritorno alle origini con l’International, dove si dimostrò comunque ancora utile e importante. Fu di Dunga, infatti, il gol decisivo per scongiurare la retrocessione del club brasiliano. La successiva carriera di allenatore ha avuto, come spesso capita anche ai migliori, un andamento talvolta discontinuo e altalenante. Carlos ha guidato proprio il Brasile nel mondiale del 2010 e ha subìto durissime critiche, con conseguente esonero, per la cocente eliminazione ai quarti con l’Olanda. L’uragano di polemiche che l’ha investito non ne ha però intaccato il carattere e il carisma; si è subito preso tutte le colpe uscendo a testa alta e pronto a nuove intriganti avventure in panchina. Avventure che, ne siamo certi, affronterà con la grinta e la tenacia di sempre…

Lucio Iaccarino