Discontinuo ma talentuoso come pochi, Savicevic vinse la Coppa dei Campioni con Stella Rossa e Milan. E ovunque ha distribuito classe e fantasia!

Savicevic

Savicevic (foto magliarossonera.it)

C’è chi dice che l’artista capace di far parlare di se anche fuori dal proprio contesto creativo è artista due volte. Del resto, per lui non ci sono mai state vie di mezzo, visto che ha sempre diviso tifosi e addetti ai lavori in due partiti ben distinti: chi lo adorava e chi lo odiava… Sicuramente il talento e la classe di Dejan Savicevic sono comunque innegabili pur riconoscendo che, nella sua carriera, non sempre è riuscito ad esprimere compiutamente tutto quello che Madre Natura gli aveva generosamente offerto in materia calcistica.

Numero 10, regista sopraffine e meritatamente insignito del soprannome “Genio”,  Dejan era però in grado di trasformarsi all’occorrenza in attaccante puro. E anche in questo caso era letale, confermando che la versatilità nello sport è parente stretta all’intelligenza.


Montenegrino doc, Savicevic nacque a Titograd (nell’ex Jugoslavia) il 15 settembre del 1966. Crebbe calcisticamente nella squadra del suo paese, il Baducnost, dove giocò per sei stagioni. Nel 1988 il passaggio fondamentale alla Stella Rossa di Belgrado dove in quattro anni diede vita, insieme a talenti purissimi come Prosinecki, Stoijkovic, Mihaijlovic, Jugovic e Pancev, al ciclo vincente dei biancorossi. Dal 1989 al 1992 la Stella Rossa vinse tre scudetti, una Coppa dei Campioni (a Bari contro il Marsiglia, in una drammatica finale ai rigori), e una Coppa Intercontinentale, con un sonoro 3-0 ai cileni del Colo Colo. Una squadra che sembrava un’orchestra e Dejan era un maestro inarrivabile, ma sfortunatamente l’alchimia ebbe vita breve. In pochi mesi i calciatori migliori furono costretti ad emigrare in altri club europei: il motivo, stavolta, non fu esclusivamente economico. La fuga, infatti, era dettata dagli orrori della guerra…

Nel 1992 Dejan Savicevic fu ingaggiato dal Milan, che in quel periodo era probabilmente fra le cinque squadre più forti del pianeta. Un contesto quindi positivo, ma certo non mancavano le insidie: la concorrenza per una maglia da titolare era infatti ferocissima, e i tanti campioni in rosa dovevano necessariamente dare il massimo per non ritrovarsi in panchina o addirittura in tribuna. Dejan, da sempre prima donna delle squadre in cui aveva giocato, fu fra i primi a soffrire di questa situazione. Spesso finiva ai margini, e faticava più del dovuto a farsi accettare dai compagni quando veniva schierato.

L’inserimento fu inizialmente complesso anche perché giocava fuori ruolo, e non mancarono problemi con gli schemi dell’allenatore Fabio Capello. Per fortuna, col passare del tempo il suo enorme talento riuscì comunque ad emergere: alla fine dell’anno il suo bilancio parlava solo di dieci presenze, ma i quattro gol messi a segno erano di pregevole fattura ed ebbero un peso specifico nell’economia del campionato. Furono la base su cui ripartire l’anno dopo; del resto, Savicevic era il pupillo della classe dirigente milanista e fu confermato senza pensarci troppo. I risultati arrivarono e il Genio del Montenegro si consacrò definitivamente nel cuore dei tifosi!


Il grande ciclo del Milan, nel campionato 1993/94, era dato per finito: Gullit e Rijkaard non c’erano più, Van Basten aveva seri problemi fisici e stava addirittura per ritirarsi. In pratica, stava scomparendo quel trio degli olandesi che tanto aveva dato alla causa rossonera. Ancora una volta il campo diede ragione alle scelte del club che, puntando forte su Dejan Savicevic, vinse l’ennesima scommessa. Il montenegrino, nonostante qualche amnesia in campionato, fu fondamentale nella splendida cavalcata in Coppa dei Campioni.

La sua prestazione migliore fu proprio in finale contro il Barcellona di Romario: il 18 maggio 1994 ad Atene il Genio sfoderò colpi di gran classe. Il Milan era in vantaggio 2-0 già alla fine del primo tempo, e chiusero la pratica ad inizio ripresa: Savicevic si impadronì del pallone sulla fascia destra e lasciò partire, da lontanissimo e da posizione impossibile, un micidiale pallonetto che non lasciò scampo al portiere spagnolo Zubizarreta. Fu la sua splendida firma in quell’impresa memorabile; la finale si chiuse 4-0 e la Coppa Campioni tornò a Milano.

Lasciò l’Italia nel 1998 per tornare inizialmente nella Stella Rossa di Belgrado, dove però diversi problemi fisici cominciarono a tormentarlo. L’ultimo club di Savicevic fu il Rapid Vienna, in Austria: due stagioni e fine dei giochi nel 2001. La successiva carriera di allenatore non ha avuto grosse soddisfazioni, anche se è stato commissario tecnico della Serbia-Montenegro. Meglio dietro una scrivania, visto che successivamente ha ricoperto con profitto il ruolo di presidente calcistico del suo Montenegro. Tuttavia, un tipo come lui può essere utile in svariati contesti: scoprire nuovi talenti dovrebbe essere una sua vocazione naturale. E infatti spesso consiglia, suggerisce e aiuta l’inserimento di giovanissimi calciatori della sua nazione. Certamente sarà quasi impossibile scovare un nuovo Savicevic: un Genio uscito dalla lampada per impartire a tutti lezioni di football…

Lucio Iaccarino