Arrivò al Verona per ricostruire fisico e carriera, ma la retrocessione in B fu la tomba della sua carriera! Dragan scelse poi il Giappone, attratto dal Dio Denaro!

Stojkovic

Dragan Stojkovic(foto nuncasinfutbol

Ottimi piedi, tocco di palla vellutato e baricentro basso: intorno al 1990 questo estroso centrocampista, geniale nel dribbling e nell’assistenza ai compagni di reparto, poteva sorridere ad un futuro roseo e brillante. Giocava nella gloriosa Stella Rossa di Belgrado, e stava per passare al Marsiglia in Francia: entrambi questi club stavano per primeggiare in Europa, conquistando la Coppa dei Campioni e sfornando talenti di caratura internazionale.

E Dragan Stojkovic era certamente uno di questi, visto che anche nella Coppa del Mondo del 1990 in Italia era stato protagonista in positivo con la sua Jugoslavia. Per lui 5 presenze da titolare fisso e un uragano di consensi dai giornalisti accreditati. In più, la splendida e decisiva doppietta nel 2-1 fra Jugoslavia e Spagna, il 26 giugno a Verona. Eravamo agli ottavi di finale, e il conseguente passaggio ai quarti fu una conquista notevole per la sua nazione. La sconfitta con l’Argentina di Maradona, ma solo ai calci di rigore, non ridimensionò le ambizioni del piccolo numero 10…

Dragan Stojkovic era nato a Nis, nell’ex Jugoslavia, il 3 marzo del 1965; dopo una scorpacciata di titoli con la Stella Rossa di Belgrado aveva diverse opzioni per scegliere il suo futuro. Andò al Marsiglia, ma coi transalpini arrivò un primo colpo durissimo per il fantasista; andò al tappeto per un serio infortunio al ginocchio… Fin qui tutto nella norma, in fondo ogni atleta deve mettere in preventivo un trauma e il conseguente lungo stop. Secondo alcuni giornali dell’epoca, però, il caso di Stojkovic fu davvero paradossale.

Il suo infortunio fu sottovalutato dai medici che incautamente, e a più riprese, lo rimandavano in campo convinti della guarigione. Fu un errore da dilettanti, visto che proprio l’incauta prosecuzione dell’attività in quei mesi aggravò il guaio di Dragan, che cominciò pure a patire psicologicamente quel continuo calvario di ricadute. Proprio il Verona, forse perché lo “Stadio Bentegodi” gli aveva portato fortuna nella rassegna iridata, poteva e doveva essere la grande opportunità di rilancio e riabilitazione fisica. Gli scaligeri erano una squadra destinata a combattere per la permanenza in serie A, ma in fondo Stojkovic pensò che questa era una fortuna: la sua indiscussa classe non sarebbe stata di certo mortificata dalla concorrenza e poteva così rinverdire i fasti di qualche anno prima.

L’allenatore del Verona 1991-92 era quella vecchia volpe di Eugenio Fascetti, mentre nella rosa spiccavano i nomi del romeno Raducioiu, dell’ex Napoli Renica, di Magrin e del portiere Gregori. Tanti mestieranti che, insieme a qualche giovane di medio livello, affrontarono un campionato subito in salita: dopo nove giornate appena cinque punti. Stojkovic ebbe un rendimento a dir poco scadente: quasi sempre infortunato (ancora il problema di Marsiglia?), e quando invece scendeva in campo era impreciso e indisponente. La classe dei tempi passati era solo un lontano ricordo; Dragan aveva appena 27 anni ma sembrava già un pensionato in cerca degli ultimi stipendi…

La squadra rimase in linea di galleggiamento fino alla metà di aprile, poi un ulteriore crollo di risultati determinò una retrocessione meritata (16° posto con 21 punti): si rilevò inutile anche il cambio in panchina, con Mario Corso subentrato a Fascetti. Stojkovic, intanto, si stava spegnendo come una candela e chiuse quella disgraziata stagione con un solo gol, nell’1-1 con l’Ascoli in trasferta, il 3 maggio 1992. Una rete inutile, in un campionato anonimo…

Tornò al Marsiglia, ma ancora una volta i tanti infortuni limitarono sensibilmente il suo apporto alla squadra. Alla soglia dei trent’anni, sconsolato e amareggiato, si guardò allo specchio e prese l’ultima decisione della sua attività agonistica: emigrare in Giappone. Consapevole che si trattava di una via senza ritorno, Stojkovic firmò per il Nagoya Grampus e vi rimase per quasi 8 stagioni marcando quasi 200 presenze nel club nipponico. Il campionato era tutt’altro competitivo, ma era il primo a saperlo. Bastava guardare il portafogli e subito gli passava la paura e l’angoscia; Dragan aveva un ingaggio principesco e moltissimi privilegi inseriti nel contratto. In più, poteva sfoggiare qualche colpo di livello e permettersi di non correre e non affaticarsi troppo.

Si ambientò benissimo, e divenne anche allenatore dello stesso club, vincendo il titolo nazionale nel 2010. In fondo, nonostante i tanti bocconi amari da digerire, ha avuto una vecchiaia calcistica dignitosa. E se da noi in Italia è stato praticamente cancellato dagli almanacchi, dalle sue parti è ancora piuttosto famoso: merito soprattutto delle 85 presenze in nazionale (da dividere fra Jugoslavia e Serbia Montenegro). Inoltre è stato dirigente esecutivo della Stella Rossa di Belgrado e, a più riprese, presidente della Federazione calcistica della Serbia. Per Dragan Stojkovic, in fondo, Verona è solo un incubo da dimenticare…

Lucio Iaccarino