Mario Jardel, il bomber, spietato in patria e in Portogallo,vinse due Scarpe d’oro!Poi Jardel fu travolto da guai e depressione e con l’Ancona perse anche la faccia!

Mario Jardel

Il brasiliano Jardel (foto futbolandia.it)

Un calciatore, prima di essere tale, è soprattutto un uomo: anche se il concetto è scontato, è doveroso ribadirlo. Quando un atleta non è sereno e quando i problemi personali si accumulano, uno dei tanti conti da pagare è quello di una carriera che si spappola o si sgretola di fronte all’incombenza delle difficoltà. Il brasiliano Mario Jardel, quando arrivò nella nostra serie A e firmò per l’Ancona, di guai ne aveva fin sopra le orecchie ma questo i tifosi marchigiani non lo sapevano.

Quando lo videro giocare con la loro squadra del cuore si ritennero giustamente scandalizzati nel vedere un centravanti goffo, lento e terribilmente scarso. Partirono le offese e gli insulti; qualcuno mise in bella vista uno striscione con scritto “Lardel”, scimmiottando il suo vero nome e alludendo (stavolta con spirito) ai chili di troppo dello stesso Jardel. Era tutto vero: il brasiliano era effettivamente in sovrappeso, anzi obeso.

Impresentabile in qualsiasi campionato, figuriamoci in quello italiano dove i difensori sono fra i più arcigni del mondo. Prenderlo in giro divenne un esercizio quasi automatico per tutti, persino giornalisti e addetti ai lavori. Magari qualcuno avrebbe dovuto e potuto fare più attenzione, anche perché Jardel fino a pochi anni prima era stato un vero bomber, non fasullo o furbacchione come molte altre meteore. Solo che poi ha dovuto combattere, uscendo spesso sconfitto, con uno dei peggiori mali della nostra epoca. Andava solo aiutato, non preso in giro: Mario Jardel aveva la depressione…

Nato a Fortaleza il 18 settembre 1973, la sua prima vera squadra era stata il Vasco da Gama, con cui aveva debuttato nel massimo campionato brasiliano. Una solida gavetta con il club di Rio e successivamente nel Gremio e poi il trasferimento in Europa. C’era quindi da superare lo scalino più ambito, ma anche il più difficile, per un calciatore sudamericano che aspira a una gloriosa carriera. Jardel aveva scelto il Portogallo e fu una decisione assennata! Si mise in evidenza nel Porto come un centravanti efficacissimo e con una notevole propensione al gol. Col fisico che si ritrovava, il suo profilo era subito immediato: ottimo colpitore di testa (grazie ad un’elevazione superiore alla media), segnò caterve di gol sfruttando i cross dei compagni.

Oltre al gioco aereo, però,  si disimpegnava discretamente palla e terra e negli ultimi 16 metri sapeva farsi rispettare. Un bomber completo, quindi, con numeri e cifre da killer spietato: col Porto segnò più di un gol a partita (130 reti in 125 gare) e divenne l’idolo indiscusso della tifoseria. In Portogallo militò pure nello Sporting di Lisbona e, anche in questo storico club, si mise in evidenza con 53 centri in due campionati: in bacheca ben 4 titoli nazionali e 7 coppe! Ma, soprattutto, vanno menzionate le due Scarpe d’oro (1999 e 2002, battendo il grande Henry) che confermavano il concetto base: Jardel era un cannoniere coi fiocchi! In Turchia, nella parentesi col Galatasaray, segnò una storica doppietta al grande Real Madrid nella Supercoppa europea vinta nel 2000: fra i suoi compagni ricordiamo il connazionale Taffarel. Un grande trionfo, in cui dimostrava di saper bucherellare anche le difese meglio attrezzate del mondo.


I problemi per Jardel cominciarono ad affiorare intorno al 2002, prima intaccando l’uomo e poi il calciatore. Il colpo di grazia arrivò dalla moglie, una splendida showgirl brasiliana, che lo costrinse ad accettare il divorzio. La separazione buttò Jardel in uno stato depressivo mai vissuto prima, e dal quale non riuscì a trovare i rimedi e gli anticorpi necessari. Quando poi cominciò la guerra per l’affidamento dei figli, che quasi non poteva più vedere, la sua già precaria situazione mentale crollò vertiginosamente. Cominciò a mangiare fuori-orario e soprattutto a bere, finendo ben presto nel baratro della dipendenza. Per un atleta di fama come lui, poi, il tracollo fisico fu ancora più devastante.

La carriera di Jardel a questo punto divenne quasi un gioco di società, solo che il protagonista era destinato a perdere sempre. Cambiò e ricambiò una dozzina di club, provando avventure esotiche e bizzarre persino in Bulgaria, Cipro e Australia. In mezzo, anche diversi viaggi di andata e ritorno in Brasile e qualche presenza nel campionato inglese col Bolton. Insomma, una variabile impazzita con la sola costante di giocare poco e malissimo. Jardel era grasso a tal punto che, come suggerì un tifoso, il pallone invece di finire in rete sembrava destinato alla sua enorme pancia…

In questo vortice senza fine, Jardel fu catapultato anche nel campionato italiano, con l’Ancona nel 2004. Partì subito male, con una scenetta da far invidia alle comiche di Ridolini! Venne presentato prima della gara Ancona-Perugia e, come accade spesso, gli fu chiesto di salutare i nuovi tifosi sotto la curva. Il povero e ignaro Jardel, che fu evidentemente indirizzato male, andò tutto contento a salutare i tifosi del Perugia: non immaginava che gli umbri e l’Ancona avevano gli stessi colori sociali, il bianco e il rosso… Insomma, quasi una barzelletta! E in campo le cose non andarono meglio, con appena 3 presenze una più disgraziata delle altre. L’unica cosa positiva fu che la farsa durò pochissimo, e l’attaccante triste e depresso abbandonò le scene italiane come un attore da strapazzo che non sa più recitare. Ma un augurio possiamo ancora regalarglielo: quello di ritrovare la serenità smarrita, affinché l’uomo Jardel vinca la partita più importante…

Lucio Iaccarino