Fratello di Mauro, l’argentino è ricordato per la somiglianza con l’attore Alvaro Vitali. In campo fu scartato dopo poche partite: la povera Ancona tornò in serie B.

Zarate

Sergio Zarate(foto calciobidoni.it)

Tanti anni fa in Argentina, nei pressi della capitale Buenos Aires, c’era una famiglia che viveva di calcio. Non soltanto appassionati, ma veri professionisti; il padre, ovviamente qualche anno prima, e quattro dei cinque figli erano calciatori. In casa Zarate il pallone era come il mappamondo: tutto ruotava intorno a lui. Due dei ragazzi, anche se con alterne fortune e in epoche diverse, hanno avuto la possibilità di giocare nella nostra serie A. Mauro Zarate, classe 1987, ha indossato le casacche di Lazio e Inter fra il 2008 e il 2012: attaccante talentuoso e molto tecnico, forse discontinuo ma certamente interessante.

Nella nostra rubrica, tuttavia, l’interesse si concentra sul fratello maggiore… Una meteora a tutti gli effetti, un elemento addirittura grottesco. Si chiamava Sergio, era un trequartista col vizio del gol e della giocata ad effetto (almeno queste erano le sue intenzioni). Quando si presentò all’Ancona, nel corso della prima conferenza stampa, molti notarono una stravagante particolarità. A parte i capelli lunghi, Sergio Zarate era identico, o comunque molto somigliante, all’attore romano Alvaro Vitali, quello di Pierino e tanti altri film comici. Purtroppo anche lui faceva ridere, non su un set cinematografico ma in campo…


Sergio Fabian Zarate nacque nell’inverno del 1969 ad Haedo, in Argentina: madre natura non gli regalò un fisico eccezionale, ma in compenso trattava il pallone con la dolce sensibilità del trequartista. Debuttò quindi nel Velez Sarfield e, in poche stagioni, seppe ritagliarsi piccoli momenti di gloria. Nulla di entusiasmante, però questo tracagnotto numero 10 sfornava assist e palloni interessanti ai compagni d’attacco. La lunga chioma era il segno distintivo di Zarate, e quando passò al Norimberga i suoi capelli furono persino un motivo di contrasto col nuovo allenatore.

In Germania, comunque, l’argentino giocò abbastanza bene, fornendo prestazioni discrete e trovando spesso la via del gol. Il suo tallone d’Achille restava la lentezza e la scarsa propensione agonistica, ma evidentemente non erano dello stesso parere i dirigenti dell’Ancona. Il club marchigiano, infatti, acquistò Zarate nell’estate del 1992: i tifosi e la stampa erano già diffidenti nei confronti dell’argentino fin dal ritiro precampionato. Il ragazzo non sembrava pronto per la nostra serie A, categoria che l’Ancona aveva appena conquistato dopo tanta gavetta e sofferenza. L’allenatore Vincenzo Guerini ostentava un certo ottimismo, ma dovette ben presto ricredersi.

L’Ancona quell’anno schierava in attacco Massimo Agostini e Nicola Caccia; entrambi aspettarono invano gli assist di Zarate… C’erano anche il portiere Nista, l’estroso Centofanti, il libero Glonek e la stella (purtroppo cadente) ungherese Lajos Detari. In linea di massima la squadra, nonostante la consapevolezza di dover soffrire, aveva qualche possibilità di salvezza ma l’organico si sgretolò subito, mostrando lacune enormi in tutti i reparti. Con Zarate in campo l’Ancona sembrava in inferiorità numerica; l’argentino era nullo in fase di copertura, sembrava ignorare completamente il significato delle parole “difendere” e “contrasto”.

Giocò appena 11 partite prima di finire nel dimenticatoio; gli unici sussulti positivi si concretizzarono il 25 ottobre 1992. Durante Ancona-Foggia, coi pugliesi allenati da Zeman, realizzò addirittura una doppietta, favorita peraltro dalla distratta difesa a zona degli avversari. Il 3-0 finale (segnò anche Ruggeri) fu un risultato sorprendente; per una volta Zarate uscì dal campo fra gli applausi del suo pubblico. Purtroppo fu un’eccezione. L’Ancona chiuse quella disgraziata stagione con appena 19 punti, retrocedendo nettamente in serie B insieme a Pescara, Fiorentina e Brescia.


Non solo Pierino: Sergio Zarate era chiamato anche “il Topone”, altro soprannome non proprio idilliaco. Tornò in Germania, di nuovo al Norimberga (ci fu pure una polemica col club teutonico, che accusò l’Ancona di non aver mai pagato interamente il ragazzo) e poi all’Amburgo. Il suo valore di mercato scese ai minimi storici, poi ebbe un sussulto con l’ingaggio da parte dei messicani del Necaxa. Con la squadra centroamericana riuscì a togliersi le uniche reali soddisfazioni della carriera, vincendo un paio di titoli e la coppa nazionale. Il resto non è  granché, con un mesto ritorno in patria o con squadre di mediocre livello. Si ritirò definitivamente dalle scene calcistiche nel 2003: pochi sanno che nel suo curriculum c’è persino una presenza con la maglia della nazionale argentina, datata 1992. Ora Sergio Zarate è un procuratore sportivo ed è operativo sia in Sudamerica che in Europa: fra gli altri, cura gli interessi dei suoi stessi fratelli.

Lucio Iaccarino