Il presidente FIGC Tavecchio nella bufera. “Esternazioni da bar di provincia”.
Cosa serve in Italia per far dimettere una persona che ricopre un incarico importante quando finisce su tutti i giornali per gaffe a dir poco inopportune e commenti stucchevoli per uomini che occupano poltrone molto ambite? Tutti noi ci abbiamo pensato molte volte vedendo come da sempre funziona nel nostro Bel? Paese. Probabilmente non ci sono limiti perchè per quanto grossa la si possa fare il lasciare la poltrona è comunque un discorso inaffrontabile.
Non lo farà infatti Carlo Tavecchio, Presidente FIGC, che al di là del discreto lavoro messo in atto da quando è alla guida dell’organo federale, non sembra avere le qualità umane idonee per poter essere rieletto nel 2016 alla guida del nostro movimento calcistico. Anche il più prestigioso giornale sportivo, la Gazzetta dello Sport, per conto del suo direttore Andrea Monti lo scarica, commentando come si possa provare a “ collocare al di qua dell’impalpabile linea d’ombra che separa la ciarla sgangherata dalla discriminazione odiosa di genere e di razza. Tutto questo, naturalmente, riguarda l’uomo Tavecchio. Perché al Tavecchio presidente, a meno di improbabili impennate della politica, non accadrà proprio nulla. Un po’ per il delirio d’immobilità in cui è precipitato il mondo del calcio. Un po’ perché, almeno da noi, a certe sortite si fa l’abitudine“.
Le frasi sconcertanti su gay e ebrei non possono non lasciare il segno. Monti parla di come “nelle esternazioni pubbliche e private di Tavecchio c’è un indubbio filo conduttore che riporta ai bar di provincia, alle discussioni animate da un calice di troppo, ai pregiudizi istintivi contro ogni diversità più che a giudizi politici radicati, anche se non per questo meno pericolosi“.
Che sia una trappola, mediaticamente parlando, è vero e ha ragione Tavecchio nel difendersi in questo, ma la trappola acquisisce valore di notizia ovviamente per il contenuto. E il contenuto anche se non meraviglia, lascia di stucco ancora una volta. Giornalisticamente è una scorrettezza, ma nel complesso non è un reato capire il pensiero di chi guida il nostro calcio.
Dimissioni?Neanche a parlarne. Il numero 1 del calcio si trincera dietro un “Vogliono ricattarmi”. In ogni caso resta ancora una volta una mancata opportunità per un doveroso passo indietro, così come è accaduto la scorsa estate a un altro rappresentante, Belloli, costretto, nel vero senso della parola, a dimettersi dalla sua poltrona da cui non aveva la minima intenzione di schiodarsi.