Il portiere del Livorno racconta quegli attimi della violenza. Ora vuole andarsene.

Carlo Pinsoglio (foto dalla rete)

Carlo Pinsoglio (foto dalla rete)

Con un occhio tumefatto, quello sinistro, e la faccia un po’ stravolta di chi si è appena svegliato da un incubo, Carlo Pinsoglio, 26 anni, si sente come un pallone bucato. Da venerdì notte («la peggiore della mia vita», dice lui), è diventato uno dei portieri di calcio più famosi d’Italia. Il problema è che la celebrità gli è arrivata grazie a due episodi negativi: la papera più clamorosa del torneo che a sei minuti dalla fine ha spalancato il baratro della retrocessione dalla B alla Lega Pro alla sua squadra, il Livorno, e l’agguato di alcuni tifosi livornesi inferociti che l’hanno spedito all’ospedale, ironia della sorte quello di Pisa.

Poi c’è il giallo delle offese (accadute giorni fa e che lui smentisce) su Facebook a tifosi e compagni di squadra e che gli sono costate il posto da titolare.«Mi hanno accerchiato e insultato mentre stavo per salire in auto con i miei genitori — racconta Pinsoglio —. E poi, mentre io mi sono fatto avanti per prendermi tutte le offese e coprire mamma e papà, qualcuno mi ha preso alle spalle e mi ha sferrato un pugno in faccia. Mia madre si è messa a piangere, terrorizzata, e io non ho potuto neppure difendermi. Siamo saliti in macchina e ci siamo subito precipitati verso il pronto soccorso».

Undici presenze nelle nazionali Under 20 e 21
Carlo, 1 metro e 92 di altezza, nato a Moncalieri, scuola Juventus, undici presenze nelle nazionali Under 20 e 21, racconta di essere lontano anni luce dallo stereotipo del calciatore viziato e arrogante: «A casa mi hanno insegnato sempre a fare il mio dovere. E quando sbaglio me ne assumo sempre tutte le responsabilità». La notte di Livorno però ha cambiato tutto. «Non mi lamento per le botte prese — spiega il calciatore —, ma per le ferite che ho dentro che mi fanno stare male, troppo male.
Non so se riesco a spiegare cosa significhi commettere un errore e avere il peso addosso della retrocessione della mia squadra, di quella dei miei compagni e della delusione e della rabbia di migliaia di tifosi. Le violenze, poi, hanno complicato tutto. L’uomo che mi ha colpito l’ho denunciato e ho fatto bene. Rivedo ancora mia madre in lacrime, spaventata. È stato terribile. La papera? Chiedo scusa ai tifosi, quelli veri. Capisco anche gli insulti, ci ho sempre messo la faccia».


La famiglia e i valori solidi
A dir la verità il portiere venerdì sera è stato il primo a rifugiarsi negli gli spogliatoi tra i fischi dei diecimila dello stadio «Armando Picchi», mentre il resto della squadra è andata a prendersi una raffica di improperi davanti alla curva degli ultrà. Voglia di smetterla con il calcio? «Mai, vado avanti — risponde —. Vengo da una famiglia operaia. Lo sono papà Davide e mio fratello maggiore, mamma Giovanna è una casalinga. Ho valori solidi». E su quella papera spaventosa? «Un errore accaduto nel momento sbagliato. Chiedo scusa, ma io venerdì ero partito in panchina e quando sono entrato ce l’ho messa tutta».

Le frasi su Facebook
Già, la panchina. Una punizione per aver scritto su Facebook frasi contro i tifosi e la società amaranto. Cose pesanti, offese inconcepibili per un professionista. A un tifoso che lo critica Pinsoglio risponde: «Stai muto co…». Poi accusa anche i compagni di squadra. «È facile criticare me, ora, per un errore. La gente, per tutto l’anno, ha fatto ca… e nessuno ha detto niente. E ora, per un mio sbaglio, tutti a criticare. Bravi…». A Livorno scoppia il caso e Carlo perde il posto da titolare.

Ma lui continua a negare. «Non ho scritto io quelle frasi, qualcuno è entrato nella mia pagina e ha postato offese gratuite». In pochi ci credono, anche tra i compagni, e si parla di un violento litigio negli spogliatoi.
E ora? Se si dovesse giocare uno spareggio (cosa possibile perché c’è un procedimento della giustizia sportiva che potrebbe sottrarre punti proprio al Lanciano) Pinsoglio che cosa farà? «Il mio dovere, come sempre — risponde —. Ma il prossimo anno non resterò a Livorno. Quello che è successo è troppo grande da sopportare».

Fonte: corriere.it