Dalla Samp di Mancini & Vialli all’Alavés di Javi Moreno fino al Dortmund di Klopp, ripassiamo un quarto di secolo di sorprendenti finaliste nelle coppe europee.

Simeone e Diego Costa festeggiano con Mourinho deluso sullo sfondo  (www.skysports.com)

Simeone e Diego Costa festeggiano con Mourinho deluso sullo sfondo (www.skysports.com)

Mercoledì sera l’Atlético Madrid ha staccato il biglietto per la Finale di Champions League di Lisbona. La gioia incontenibile dei protagonisti in campo avrebbe potuto far pensare a qualcuno che avesse appena acceso la tv che il “Cholo” Simeone ed i suoi ragazzi avevano appena vinto una coppa. Non è proprio così, ma forse un po’ lo è. Perché che una squadra senza una tradizione vincente alle spalle e senza grandi risorse economiche come l’Atlético Madrid riesca a competere contro club come il Milan, il Barcellona ed il Chelsea, e riesca addirittura a superarli con chiarezza, è qualcosa che merita una celebrazione.
La seconda squadra di Madrid torna in Finale quarant’anni dopo l’unico precedente e lo fa contro tutti i pronostici. In questi casi si suol dire che quella dei biancorossi è stata una impresa unica. Ma non lo è. La storia del calcio europeo è piena di sorprese e di squadre che si incuneano tra i giganti del football, sopperendo ai limiti tecnici ed economici con la programmazione, lo sforzo, la fede nei colori che difendono.


Per ritrovare un caso simile a quello dei “colchoneros” non bisogna neanche andare lontano: esattamente dodici mesi fa, il Borussia Dortmund si classificava per la Finale dopo aver superato il Real Madrid. Fino alla fine degli Anni Ottanta, il Dortmund era una squadra semi-sconosciuta. Nei Novanta ebbe un’impennata, vincendo due volte la Bundesliga, disputando una Finale di Coppa UEFA (persa contro la Juventus) e vincendone una di Champions League (sempre contro la Juventus). Dopo aver consumato le ultime batterie e gli ultimi marchi nel 2002 vincendo una Bundesliga e disputando una nuova finale europea (la UEFA persa contro il Feyenoord), il club cadde in una profonda crisi economica che rischiò più di una volta di sfociare in una retrocessione in seconda divisione. Per fortuna, però, il Dortmund venne rilevato da imprenditori competenti, che si affidarono ad ex-calciatori e ad un tecnico di talento come Jurgen Klopp, risalendo la china velocemente fino a sfiorare il trono continentale la scorsa primavera. Il 4-1 della Semifinale d’andata con poker di Lewandowski resterà a lungo tra le gare più memorabili della storia del club, forse seconda solo alla Finale vinta nel 1997 contro la Juve di Lippi.

Nel 2002 era stata un’altra tedesca a piantarsi sorprendentemente in Finale: il Bayer Leverkusen – guidato in panchina da Klaus Toppmoller ed in campo da Michael Ballack – si sbarazzò uno dietro l’altro di Stella Rossa, Lyon, Fenerbahçe, Liverpool e Manchester United, prima di inchinarsi a Glasgow di fronte al Real Madrid dei “Galácticos”. Fu la miglior stagione della storia del club, ma fu anche molto deludente, già che le “aspirine” arrivarono seconde in tutte le competizioni disputate.
Dieci anni prima, invece, un altro Davide si era presentato a sfidare il Golia di turno. Se n’è andato pochissimi giorni fa Vujadin Boskov, lo stratega di quella Sampdoria che giunse fino all’ultimo atto della vecchia Coppa dei Campioni, cedendo al “Dream Team” Barcellona di Johan Cruijff solo all’ultimo minuto dei supplementari. Erano anni in cui il calcio italiano dettava legge in lungo e in largo, così possiam trovare negli annali anche la UEFA del Napoli di Maradona ed i trionfi del Parma dei Tanzi (due UEFA, una Coppa delle Coppe ed una Supercoppa Europea).

Sembrava finire un’era col vecchio millennio che si chiudeva, la sentenza Bosman, le tv private, le riforme delle competizioni europee. Invece il calcio non smette mai di sorprendere. Nelle due stagioni precedenti l’impresa del Leverkusen, in Finale di Champions si era piantato il Valencia di Héctor Cuper: nel 2000 allo “Stade de France” venne spazzato via dal Real Madrid; nel 2001 a “San Siro” si arrese solo ai rigori contro il Bayern Monaco. Cuper era arrivato a Valencia grazie ai successi ottenuto sulla panchina del Mallorca, portato fino alla Finale dell’ultima Coppa delle Coppe, quella del 1999 persa contro la Lazio di Eriksson (prima vittoria internazionale dei romani, unica insieme alla Supercoppa Europea di quello stesso anno).


Nel 2000 vi era stata una vittoria davvero unica: quella del Galatasaray, unica squadra turca ad essersi mai imposta in una competizione europea. Il successo ai rigori a Copenaghen contro l’Arsenal (cui si sommó la Supercoppa in estate) è lí ad ingigantire il mito nazionale di Fatih Terim, l’imperatore mai del tutto compreso nelle sue due esperienze italiane.
È, però, del 2001 la finale che più di ogni altra rappresenta in termini calcistici il mito di “Davide contro Golia”. Il 16 Maggio di tredici anni fa, infatti, a Dortmund si giocò Liverpool vs Deportivo Alavés. Un gigante da quattro Coppe Campioni (oggi son cinque) contro una squadra alla sua prima partecipazione europea e che ha passato gli ultimi anni in terza divisione, facendo più di una volta l’occhiolino al fantasma del fallimento. Nella 2000/2001 l’Alavés mise in fila Gaziantepspor, Lillestrom, Rosenborg, Inter, Rayo Vallecano e Kaiserslautern, prima di sfidare i “Reds” in quella che è una delle più belle finali di sempre: 5-4 per i britannici, con gol (anzi, auto-gol) decisivo al minuto 116’.

Per ultimo, citiamo l’unica finale disputata da due squadre-rivelazione, quella del 2004. Porto vs Monaco, l’ultimo atto di una Champions League in cui le sorprese si susseguirono turno dopo turno, vedendo cadere squadroni come il Milan di Ancelotti, il Real Madrid, l’Inter, il Manchester United, il Bayern Monaco, l’Arsenal ed il Chelsea appena rilevato ed arricchito da Abramovich. A Gelsenkirchen il semi-sconosciuto Mourinho liquidò 3-0 un Monaco che era atteso da un futuro buio, fatto di crisi economica e retrocessione da cui si è rialzato solo di recente.

Insomma, l’impresa del “Cholo” Simeone e dei suoi ragazzi non è unica, però sì che è grande. Quando l’estate scorsa fu venduto Radamel Falcao per 45 milioni ed al suo posto comprato David Villa per 2, molti pensavano che l’Atléti fosse una buona squadra, ma incapace di competere contro le grandi del continente. L’allenatore argentino, invece, ha lavorato con competenza, acquistando poco ma mirando sulla qualità e sulla prospettiva più che sui nomi, trovando in casa gli eroi che altri cercano sul mercato.
La Finale di Lisbona del prossimo 24 Maggio sarà il premio ad un lavoro ben fatto. E la dimostrazione che, credendoci, di impossibile nel calcio non c’è niente.

 

Mario Cipriano