Il calciatore olandese giocò anche nell’Inter senza trovare troppa fortuna.

L'esultanza che gli valse il soprannome di "Cecchino"

L’esultanza che gli valse il soprannome di “Cecchino”

Andy Van der Meyde nacque ad Arnhem, città sul Basso Reno capoluogo della provincia della Gheldria, a circa 100 km da Amsterdam. Tirò i primi calci nel Vitesse per poi trasferirsi nelle giovanili dell’Ajax. Subito dimostrò di avere qualcosa in più rispetto agli altri, tanto da debuttare in prima squadra a soli 18 anni. Dopo due anni venne mandato al Twente per acquisire maggiore esperienza. Al suo ritorno però, diventò immediatamente un titolare inamovibile sulla fascia di quell’Ajax che, guidato da Ronald Koeman, vinse campionato e coppa d’Olanda.

Quella squadra poteva vantare futuri campioni come Zlatan Ibrahimovic, Rafael Vaan der Vaart, Christian Chivu, Maxwell e anche l’egiziano Mido, altra meteora “cult” del nostro campionato. Nel 2002 inoltre fece il suo esordio nella nazionale olandese, allora allenata da Dick Advocaat, con la quale realizzerà soltanto un gol ad Euro 2004 contro la Germania. La vita del giovane “Cecchino” non risultò essere delle migliori già in giovane età: Andy chiuse totalmente i rapporti col padre, alcolizzato e giocatore accanito, arrivando addirittura a chiedere di giocare con il cognome della madre, richiesta che fu rifiutata dall’Ajax. Inoltre dichiarò di aver preso parte a numerose corse in auto per Amsterdam con Mido e Ibrahimovic. In campo comunque dimostrò di fare la differenza e a farne le spese fu la Roma in Champions, eliminata grazie ad una botta all’incrocio dei pali di Andy, festeggiata con la classica esultanza a “fucile imbracciato”.

Nell’estate del 2003 Van der Meyde era considerato uno dei più importanti prospetti del campionato olandese. Un’ala veloce, forte fisicamente con un ottimo dribbling e un tiro micidiale. Si presentò alla porta dell’Ajax, l’Inter di Cuper che riuscì prenderlo per circa 12 milioni di euro. L’approdo a Milano segnò ufficialmente il declino calcistico e personale di Andy. Pochi mesi dal suo arrivo e già iniziarono a sorgere i primi dubbi: non riusciva ad adattarsi all’Inter e non godeva della fiducia dell’allenatore. Inoltre, la prima moglie Dyana non diede una mano nell’ambientamento, infatti, come raccontato nella biografia di Andy, “Geen genade” (“Nessuna pietà”), aveva trasformato il giardino di casa in uno zoo, con cavalli, tartarughe, cani, pappagalli e zebre. L’unico lampo del calciatore che sarebbe potuto diventare si ebbe ad Highbury contro l’Arsenal, nella vittoria per 0-3 dell’Inter, ma dopo due stagioni da dimenticare, il “Cecchino” salutò i nerazzurri.

Dopo aver rifiutato il Monaco Van der Meyde, nell’agosto del 2005, decise di accettare l’offerta dell’Everton, che gli garantiva il doppio dello stipendio rispetto all’Inter e una casa con giardino per il suo zoo. A Liverpool però la vita di Andy andò ancor di più a rotoli, sempre infortunato, con la passione per donne, alcool, cocaina e farmaci vari, dopo appena 20 presenze in quattro anni e dopo essere stato anche messo fuori squadra, decise di lasciare l’Everton (“capii che dovevo andarmene da Liverpool, o sarei morto”).

L’unica squadra che provò a dargli una chance fu il PSV ma dopo un annetto capì che non poteva più reggere i ritmi di un campionato professionistico e dopo un paio d’anni nei dilettanti, Andy decise di appendere le scarpette al chiodo nel 2012.

Oggi pare che Andy sia riuscito a raddrizzare la sua vita: padre di cinque figli è stato allenatore delle giovanili dell’Ajax (“Dopo tutti gli errori che ho commesso, chi meglio di me può insegnare ai ragazzi come non sprecare il proprio talento?”), ha pubblicato la sua autobiografia e conduce “In macchina con Andy”, un programma dove intervista in auto i calciatori della Eredivisie.