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  19/09/2007 - VERSO FENERBACHE-INTER


Ibra contro l'incantesimo

Gli unici numeri che gli interessano, al momento, sono quelli che fa in campo. Ed è un periodo che Zlatan Ibrahimovic ne fa, porca miseria se ne fa: testa e piedi che sembrano un tutt’uno, nel senso che ormai produce calcio alla velocità con cui lo pensa. E ci pensa pochissimo: una botta d’istinto e via, come se non fosse mai passato il tempo delle sfide adolescenti che giocava nelle strade di Malmoe. Tutt’al più, ogni tanto Ibrahimovic pensa ai numeri del suo nuovo contratto, già pronto e solo da firmare: su quel pezzo di carta ci sarà scritto che in Europa in pochissimi, o forse nessuno, guadagneranno quanto lui. Anche quello è un buon modo per sentirsi in diritto-dovere di inventare spettacolo per chi paga. E paga per avere questo, da lui.

TRANQUILLO DENTRO - Anche quello, ma non solo quello: Ibrahimovic in questo periodo è tranquillo “dentro”, e lo è allo stesso modo quando fa gol in campionato e quando si ferma a pensare che in Europa non segna da quasi due anni, perché ci sono numeri che dicono anche questo. In Champions dal 7 dicembre 2005 (Rapid Vienna-Juventus 1-3), totale 11 partite a secco: come dire che l’Inter è ancora in credito, sotto questo punto di vista. Con la maglia della nazionale da ancora prima, 12 ottobre 2005, Svezia-Islanda 3-1: totale, altre 10 partite. Insomma, 21 partite europee senza segnare: uno sproposito, un’enormità per uno come lui, che nella sua prima stagione nerazzurra al massimo ha messo in fila sette partite “bianche” (due in Champions e cinque in campionato, fra settembre e ottobre 2006).

NON CAMBIO - Eppure Ibra spiega che questo non è un problema, che prima o poi tornerà a segnare anche lì, e cambia discorso non per fastidio, ma per convinzione. Bella forza, si potrebbe pensare: le punte dicono (quasi) tutte così, scoprendosi volpi che non arrivano all’uva. E invece no: nel suo caso dire che non gliene importa granché non significa che non interromperebbe volentieri quel digiuno, ma solo che la notte dorme bene lo stesso. E, soprattutto, che non per questo cambia il suo modo di giocare. E gioca molto bene, recentemente.

CAPELLO DICE CHE... - C’è stato un tempo in cui lo cose non andavano in questo modo. Tra dicembre 2005 e febbraio 2006 e poi da fine febbraio all’inizio di maggio, Ibrahimovic non segnò neanche a spingerlo per due mesi, e anche più. Giocava nella Juve, lo allenava Capello, che stasera commenterà la sua partita in tv e ieri, sul volo Milano-Istanbul, ha ghignato sul nudo dato statistico: “È un caso, un attaccante non si giudica solo da quanto segna. E la differenza non la fanno i gol ma come uno gioca, perché a volte fai palo-dentro e altre palo-fuori: succede. E poi, ragazzi, se stiamo qui a discutere Ibrahimovic...”. Eppure, a suo tempo Capello arrivò a mettere lo svedese addirittura in panchina per scelta tecnica, quasi costretto dall’ansia con cui Ibra era arrivato a vivere quel blocco. “Neanche lui capisce cosa gli sta succedendo: non gli vengono le cose che ha sempre fatto e questo le rende nervoso” provavano a spiegare allora i compagni più vicini e il suo procuratore.

OCCHI CHE RIDONO - Oggi no: oggi quello che colpisce di Ibrahimovic è proprio la serenità con cui va in campo, e non solo perché lì gli riesce tutto benissimo, come si è visto anche in quella mezzora contro il Catania: gli ridevano gli occhi, ieri mattina prima di salire in aereo, a ripensare agli applausi di San Siro praticamente ogni volta che toccava il pallone; ai lunghi secondi in cui lo stadio è quasi ammutolito quando è caduto a terra dopo uno scontro di gioco; al boato di liberazione che si è levato dagli spalti quando si è rialzato, scongiurando il sospetto di infortunio. È pronto per scongiurarne un altro, quello che soffra di sindrome da gol europei: non sarebbe da lui e poi, come dice Mancini, c’è un Pallone d’oro che lo aspetta. In realtà, Ibra dice che neanche quel pensiero gli riempie la testa più di tanto: ma è un po’ più difficile credergli.

Andrea Elefante (gazzetta.it)