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  16/02/2008 - LA STORIA


"Io in campo col Levante!"

La porta del paradiso protegge un varco di circa un metro. E' di lamiera, rossa e divisa in due. Ci arrivi dalla zona mista, dedicata agli "incroci" con la stampa. Da una parte i giornalisti, i tifosi e il mondo. Dall’altra lo spogliatoio e un breve tunnel che porta in campo: il mondo dei calciatori professionisti. La porta del paradiso, che in questo caso ha la p minuscola ma una passione maiuscola, è quella del Levante e ci è stata spalancata per una mattinata speciale, di allenamento e lavoro. Una mattinata da calciatore professionista che ho vissuto in prima persona.

ITALIANO - Da noi il club è noto perché nel 2006-07 ha ingaggiato Damiano Tommasi e battuto al Bernabeu il Real di Capello. Ora l'ha travolto la crisi, tecnica ed economica: ieri si è dimesso il presidente Pedro Villarroel. A tentare di risolvere la prima è stato chiamato Gianni De Biasi, per la seconda (che ha portato al rientro in A di Storari, Cirillo e Riganò) si cerca in queste ore una soluzione.

SVEGLIA - Cena con insalata e carne rossa al Luna Rossa (qui si regata per la Coppa America) e a letto presto. Ho 41 anni, un 2007 da maratoneta non basta. De Biasi mi ha detto che cominceremo alle 11, la sveglia suona prima delle 8: voglio fare una colazione giusta negli ingredienti (prosciutto, yogurt, cereali, spremuta e caffé) e nei tempi. Cosa sbaglio? Da anni vedo i calciatori arrivare nei centri sportivi come partecipassero a una sfilata e io... vado in tuta. Sarò, ovvio, l’unico.

NIENTE ROSA - La porta del paradiso si apre alle 10. Arrivo con lo staff di De Biasi (Giovanni Lorini, Igor Charalambopoulos e Vinicio Bisioli), entro nel vestuario, mi aggiro per gli spogliatoi coperti di piastrelline azzurre e conosco Josè Antonio Gomez e Josè Martinez Puig. Il primo mi farà correre: è lui che propone esercitazioni e ritmi adeguandoli alle necessità del tecnico. Arrivano i giocatori. Nessuno fa caso a me (tranne Delia, l'addetta stampa: "Che cosa fa un giornalista qui dentro?"; "Rosa? vuol vestirsi di rosa Gazzetta? No, por favor!"), si parla di soldi, di mesi di arretrati. Nessuno ha problemi a fare la spesa, ma tanti avevano preso impegni che ora (incassando solo il mensual, la rata per le piccole spese) non possono onorare. Dietro la porta rossa sbarca l’umana preoccupazione di chi deve pagare il mutuo o le rate dell’auto che altrimenti dovrebbe restituire. I capitani radunano tutti e chiudono la porta. La riunione durerà oltre venti minuti, io vado in campo. Josè Antonio si prepara con palloni e paletti, io corro. Solo, sotto la pioggia con la maglia della maratona di Milano.

RISATE - Poi arrivano tutti. A centrocampo De Biasi fa le presentazioni ma senza spiegare esattamente chi sono e cosa faccio. Ci divide in due plotoni. Corro nel gruppetto di Kujovic, il portiere, e di Mustapha Riga, il centravanti ghanese tutto trecce e muscoli, uno di quelli che può fare la differenza. Qualche giro di campo e la curiosità dilaga, così racconto di Operazione Gasparotto, di quei 15 chili persi e della maratona di New York. Loro non parlano molto, hanno più voglia - credo - di distrarsi. E io sono l’ideale. Si ride, ridono. Ovvio. Intanto in tribuna, tra i giornalisti s'interrogano. Vedendo un pelato correre in gruppo uno ha buttato là: "E' Ivan De La Pena: torna a giocare!". A chiarire tutto ci pensa Delia.

CAMISETA - Mi accorgerò in fretta che reggere il ritmo è un’illusione. Anche per questo mi fermerò dopo un’ora: salto il lavoro in palleggio e seguo corricchiando e facendo esercizio la partita a campo ridotto (qualcuno potrebbe farsi male). Ma prima mi batto come un leone. Tengo il tempo del calientamento, faccio "un figurone" allo stretching e spingo nelle brevi corse condite da esercizi e cambi di direzione. Io sono al 110%, un po’ in affanno ma tengo. Loro? A passeggio. Concentrati e seri, sul campo lo stipendio mancante non conta: si lavora. Tra un esercizio e l’altro arriva di corsa il magazziniere, mi porge una maglia, la loro: "Indossala". Ho caldo ma Riga mi spiega che è una giornata fredda... Inutile spiegargli che ora 10° a Milano sono il top. Comincia il torello, il mio gruppetto si dispone in cerchio stretto: due in mezzo a inseguire il pallone, gli altri sei a farlo girare di prima. Parto in mezzo. E il mio stato di forma (rotondo ma buono) vien fuori, peccato che il palleggio non sia all'altezza, però mi batto. Ettien e Alvaro (il difensore migliore della squadra, una roccia) ora mi guardano diversamente. Sono sempre un giornalista e una schiappa, immagino, ma sento di aver ottenuto la loro simpatia. Un attimo e Riga mi porge i pantaloncini della squadra: "Mettili! Ecco, ora sei uno di noi". Ero partito maratoneta, ho finito da jugador del Levante.

dal nostro inviato Manlio Gasparotto (gazzetta.it)