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  05/04/2008 - L'ITALIANO IN INGHILTERRA


De Canio, il mister italiano che ha stregato il QPR

‘Proud man walking’. Qualche anno fa Claudio Ranieri scrisse un’autobiografia intitolata cosi`. Lui, allenatore del Chelsea, italiano capace di farsi rispettare a Londra insegnando calcio. La definizione calza a pennello anche a Gigi De Canio. Il tecnico italiano e` ripartito alla grande dopo un anno sabbatico, riportando in auge le quotazioni del Qpr di Flavio Briatore e dimostrando tutte le proprie qualita` in una situazione non semplicissima. Chiamato dal club ultimo nella League Championship (Serie B inglese), e` in poco tempo riuscito a portare la squadra sino a un piazzamento sicuro. Al punto che ora in molti in Italia si stanno mangiando le mani per non averlo messo sotto contratto quando era ancora libero da impegni. Lo stesso non sta facendo lui. Per capirlo non ci vuole tanto, solo la voglia di spingersi sino al Middlesex, Harlington per la precisione, dove a pochi passi dall’aeroporto di Heathrow De Canio istruisce i ragazzi del Qpr allo ‘Sports Ground’, una struttura ‘collegiale’ nel pieno della campagna inglese. L’italiano e` gia` ‘gaffer’, il capo, e lo si vede quando durante l’allenamento impartisce ordini ai suoi in partitella. Inglese chiaro e semplici gesti eloquenti. Un piacere per gli occhi di chi assiste, se non vi fosse un vento ancora invernale a guastare il clima di una soleggiata mattina primaverile. Piacevole comunque. Come piacevole chiacchierare nell’ufficio di Mister De Canio, dove il manager ci accoglie per un’intervista a tutto tondo. Un tecnico che e` partito dal basso ed e` salito di gradino in gradino senza mai fare il salto doppio. E non ha perso l’umilta` di chi sa che per crescere serve migliorarsi costantemente, lavorando duro e non dimenticandosi delle origini.

Durante la stagione scorsa e` rimasto fermo dopo tanti anni d’attivita`. Come si e` comportato? Ne ha approfittato per un corso di aggiornamento?
‘Al di la` di rivedere un po’ tutte le mie idee e rivisitare il lavoro che avevo fatto, sono andato a vedere allenamenti di categorie inferiori. Per tanti motivi. Io ricordo quando allenavo in Interregionale o in C2. Ero un vulcano di idee. Mi piaceva sperimentare, avevo il tempo di leggere e studiare. Ogni allenamento diveniva una ricerca metodica e spasmodica di sistemi diversi. Ho sempre pensato che queste categorie, per il fatto che gli allenatori devono sempre arrangiarsi data la mancanza di mezzi, portino allo sviluppo di un ingegno particolare. Per fare il grande salto bisogna provare di tutto, lavorare sodo. E ammiro chi si trova in quelle condizioni. Ho cercato di andare in questa direzione’.

Quindi non e` andato a vedere le ‘grandi’?
‘Andare a vedere le grandi squadre e` anche utile, chiunque puo` insegnarti qualcosa. Ma c’e` un altro aspetto. Andare a vedere un collega significa anche andare a metterlo in difficolta`, sembra che tu possa andare a copiare. E poi, chissa`, un domani te lo trovi contro… Secondo me e` preferibile andare a vedere delle realta` piu` povere, dove ci sono comunque allenatori di qualita`. A me piacciono quei tecnici che hanno l’intelligenza di porsi in un modo diverso verso il calcio, cercando di sfatare alcuni luoghi comuni che in questo calcio circolano anche a livello dialettico. Sono persone che riescono a insegnare calcio, esprimendo concetti in modo nuovo ed efficace. Per me conta piu` questo del concetto tattico. Insegnare a fare gruppo e` una cosa non da poco’.

Poi dopo l’anno sabbatico arriva la chiamata del Qpr. Come ha vissuto la cosa?
‘Inizialmente non ero tanto interessato. Poi ho riflettuto, ho capito quanto erano interessati a me e quale era la volonta` della nuova societa`. Ho visto che c’era un’idea, un progetto. E l’ho apprezzato molto. Mi hanno ricontattato e mi sono detto disponibile. E poi e` arrivata una coincidenza. Mi trovavo a Londra per vedere una gara del Chelsea di Champions League. Mentre stavo per tornare a casa mi arriva la telefonata del Qpr. Non sapevano nemmeno che ero a Londra, quando gliel’ho detto mi hanno detto di passare in sede a parlare con Flavio Briatore. E li` ho sentito solo il progetto, non mi sono interessato di nulla. Della classifica non mi importava, mi fidavo delle mie capacita` e di quelle della societa`’.

Come e` stato l’impatto con Briatore?
‘Non lo conoscevo se non di fama, l’avevo incontrato una volta per caso ma lui non se lo ricordava nemmeno. Lui mi ha parlato di questa idea di fare calcio, della passione che aveva insieme ai propri soci. E mi ha convinto’.

Eppure e` un Briatore abbastanza sorprendente. Parlando nei giorni scorsi ha lasciato intendere di aver gia` capito come vanno le cose nel mondo del calcio e ha anche detto chiaramente che non sara` un nuovo Abramovich. Sentire una persona come lui dire che un presidente ricco non rende un club ricco e` significativo.
‘E’ proprio questo il bello. Ragionando per luoghi comuni c’e` l’idea che se una persona ha molti soldi ed entra nel calcio, dara` fondo a tutti i propri mezzi per comprare giocatori. In realta` non e` cosi`, ed e` questo che mi ha stimolato. C’e` il coinvolgimento di chi opera. Del sottoscritto e dei dirigenti. Dobbiamo adoperarci per dare il massimo con le risorse del club, non dei proprietari. Dobbiamo arrivare a un successo sportivo con la consapevolezza di essere giudicati da un uomo di sport, che sa riconoscere quello che stai facendo. Se sei riuscito a fare il grande passo di cui parlavo anche prima. Una societa` che produce una certa ricchezza deve sfruttare solo queste risorse. Forse cosi` il successo immediato e` difficile, ma le basi divengono solide. E nel tempo arriva tutto. Questo e` il successo. Non e` solo arrivare primi e vincere il campionato. Il successo non e` soltanto l’Inter che porta a casa lo scudetto, ma e` anche l’Udinese che arriva in Champions League o la sfiora soltanto. Il successo e` fare qualcosa di importante in modo proporzionale ai mezzi che hai. Sono risultati che si ottengono nel tempo e soltanto grazie al valore delle persone che vi operano, dei dirigenti e degli allenatori che dimostrano di avere un certo tipo di ingegno’.

Lei parla di tempo, pero` di fatto non ne ha avuto. E’ arrivato qui a fine ottobre e dopo due giorni ha vinto la prima gara contro l’Hull City. Come ha fatto? Arriva a Londra, in una realta` nuova con una lingua diversa e in una situazione difficoltosa. Poi piano la squadra esce dal guado ed e` ora nella parte sinistra della classifica.
‘Sono molto orgoglioso. Ci sono dei numeri che testimoniano il rendimento della squadra. Da ottobre a gennaio abbiamo tenuto una media punti che ci avrebbe visto arrivare a ridosso della zona playoff, migliorando anche il rapporto tra gol fatti e gol subiti. Da gennaio in poi, con i rinforzi del mercato, abbiamo fatto un ulteriore salto di qualita` che ci vedrebbe ora tranquillamente nei playoff. Il segreto e` semplice. Prima di tutto la disponibilita` dei giocatori. Non c’e` stato ostracismo verso lo straniero. Poi l’aiuto della societa`, che mi ha permesso di trasmettere le idee ai giocatori con un interprete nei primi giorni di lavoro. Le difficolta` ci sono state e ci sono. Ma si possono superare se c’e` la volonta`, la voglia di trovare la risposta a dei problemi. C’e` stata una crescita costante e si vede’.

Piu` o meno nello stesso periodo in cui e` arrivato lei, in Premiership e` sbarcato Juande Ramos, divenuto nuovo manager del Tottenham. Di lui si e` fatto un gran parlare, dato che avrebbe rivoluzionato i metodi del club, partendo sin dalla dieta dei giocatori. Lei ha fatto qualcosa di analogo?
‘Non ho fatto nulla di tutto questo. Ho fatto delle altre considerazioni. E’ difficile poter stravolgere delle abitudini, bisogna valutare il beneficio dei cambiamenti. Per me e` stato importante innanzitutto studiare, osservare, per cercare di capire che cosa nella mia esperienza potesse essere portato e che cosa potesse garantire dei veri benefici. Da qui alla fine del campionato mi sono concesso questo periodo di studio, poi vedro` quali cambiamenti apportare. Certo, trovare la chiave per fare rendere di piu` i miei giocatori e` fondamentale’.

Lo stesso discorso vale a livello tattico. Lei ha quasi sempre giocato con il 3-5-2, ed e` ora nella terra del 4-4-2…
‘Qui gioco con un 4-4-2 molto offensivo, quasi un 4-2-4 con due ali di spinta. Io sono arrivato in una realta` in cui si e` sempre giocato in un certo modo. E’ difficile cambiare, anche perche` ci sono delle conoscenze e dei movimenti acquisiti. Rimettere tutto in gioco per proporre qualcosa che conosco io ma che non so se conoscono loro e` un rischio. I tempi di apprendimento potrebbero essere pericolosi e anche non supportati da risultati. Sarebbe un’operazione anche poco divertente per i giocatori. Scalfire delle certezze rischia di essere un autogol. E poi sono un allenatore di calcio. Ho delle competenze generali. 4-4-2, 4-3-3, 3-5-2 hanno dei movimenti diversi, ma io li conosco e quindi sono io a dovermi adattare ai giocatori. Non loro a me’.

L’accoglienza della stampa e dei tifosi come e` stata?
‘Immagino che inizialmente ci fosse un po’ di scetticismo, dato che non sono un grande nome e prima si parlava di gente come Vialli. Poi mi hanno conosciuto, hanno visto come gioca la squadra. E ho sempre sentito la stima e la considerazione dei tifosi e un po’ di tutti’.

E’ qui da piu` di cinque mesi. Che idea si e` fatto del calcio inglese? In Italia vige ancora lo stereotipo di un ‘football’ spettacolare nel quale non ci sono polemiche, gli stadi sono sempre pieni e nessuno contesta gli arbitri.
‘Lo stereotipo e` in un qualche modo da sfatare. Pero` ci sono tante cose belle. Gli stadi sono sempre pieni, anche se si gioca una partita di Serie B ed e` martedi` sera. Se l’impianto tiene 25 mila spettatori ce ne sono altrettanti, se 10 mila idem. Vai allo stadio senza scorta, arrivi e scendi tra la gente. E non hai bisogno della scorta. I tifosi avversari si incrociano senza scontri. Ma questo non e` un fatto di calcio, e` un fatto di civilta`. Poi, per quanto riguarda le polemiche sugli arbitri, non ci sono quanto da noi perche` mancano tutti quei dibattiti mediatici. Ma ci sono, posso garantirlo. Anche qui l’arbitro con le sue decisioni rischia di condizionare il risultato di una partita. Pero` c’e` un’accettazione diversa, non si va avanti a discutere. Gli errori che fanno si fanno perche` sono parte del calcio. E il metro di valutazione e` assolutamente omogeneo, non ci sono interpretazioni da parte dell’arbitro. E quello che si fischia per una squadra lo si fischia anche per un’altra. Poi magari si lamentano entrambe, ma alla fine si accetta tutto. E’ un fatto piu` culturale che calcistico’.

Da qui invece come vede il calcio italiano? Si sente fortunato ad essere qui?
‘No, io non mi sento fortunato. Dico che ci sono delle diversita`. In Italia si vive un momento di transizione, particolare. E il discorso sfocia nel sociologico. Molto dipende dalla societa` in cui ci troviamo. La nostra tende a minimizzare tutto, forse bisognerebbe correggere alcune cose. Penso ad esempio alla certezza della pena. Qui se sbagli sei punito. Non e` che in Inghilterra non si sbaglia. Ma se ci sono errori paghi, se un tifoso si comporta male allo stadio viene subito portato fuori. E non si discute tanto. Il calcio in se`, forse, in Italia viene criminalizzato fin troppo. In realta` non e` cosi`, e` un aspetto importante della nostra societa`, con valori positivi’.

Chiudiamo con qualche aneddoto. E’ vero che qui a Londra la chiamano Di Canio e non De Canio?
‘No, si sbagliavano. Ma adesso devono correggersi per forza. Senno` non rispondo’.

Invece mi hanno detto che con l’inglese e` migliorato molto. La vedono anche discutere in inglese con la stampa…
‘Si` si`, sono qui, studio tutti i giorni. Io voglio imparare bene’.

Un italiano a Londra come sta? Ha nostalgia di casa?
Non risponde, sorride e basta.

Si dice che sia stato lei a convincere Marco Materazzi, rigorista a Berlino, a tirare dagli undici metri. E’ vero?
‘Sinceramente non mi ricordo, non so se fosse restio. So che quando era arrivato a Carpi avevo visto che aveva questo calcio forte e tirava punizioni e rigori in allenamento. L’ho fatto rigorista ed e` divenuto secondo cannoniere della squadra in soli sei mesi con noi. Pero` non voglio attribuirmi meriti’.

Invece con Coco come e` andata?
‘Niente di particolare. Flavio, senza impormi nulla, mi ha proposto questa ipotesi, io sono stato molto felice molto ben disponibile. Si trattava di rigenerare un giocatore forte, di riportare al calcio una bella persona. Quindi ho aspettato che si liberasse dai propri impegni, dopo un mese e` venuto qui. Abbiamo parlato, mi sembrava disponibile ed entusiasta. Ha iniziato una preparazione personalizzata con noi. Dopo un paio di giorni, una mattina che doveva venire qui, non si e` presentato. E mi hanno informato che aveva cambiato idea’.

Chiudiamo sorridendo. Lei, italiano all’estero, si sente piu` esiliato, emigrato per far fortuna o cervello in fuga?
‘Mi piace piu` l’idea del cervello in fuga’. E via con un’altra risata…

FONTE: DATASPORT.IT