Stravagante portiere per lavoro, chitarrista rock per vocazione, uomo duro e passionale. Germán Burgos è il vice del “Cholo” Simeone, uno dei segreti dietro i successi dell’Atlético Madrid.

German Burgos da indicazioni a Raul Garcia  (foto  www.mundodeportivo.com)

German Burgos da indicazioni a Raul Garcia (foto www.mundodeportivo.com)

È l’omone sempre presente e ben visibile nella panchina dell’Atlético Madrid. Ex compagno di squadra e di nazionale del “Cholo” Simeone, amico fraterno, compagno di avventura, specchio e confidente. Anche bodyguard all’occorrenza. Germán Adrián Ramón Burgos è il vice allenatore del club rivelazione di questa stagione che volge al termine, uno dei segreti delle vittorie dell’Atlético Madrid che lotta contro i giganti di Spagna e d’Europa.

Argentino di Mar del Plata, 45 anni, è stato portiere della nazionale argentina durante otto anni, raccogliendo 38 presenze e partecipando ai campionati mondiali di Francia ’98 e di Corea & Giappone 2002. Mosse i primi passi da professionista nel 1989, difendendo i pali del Ferro Carril Oeste. Nel 1994 passò al River Plate, dove ottenne i suoi maggiori successi, su tutti la Copa Libertadores del ’96 (era, invece, in panchina nell’Intercontinentale persa contro la Juventus), grande protagonista della finale d’andata in cui parò un calcio di rigore (finì 1-0 per l’America de Calí, ma al ritorno il River capovolse il risultato vincendo 2-0 al “Monumental”).

Fu in quegli anni che gli affibbiarono il nomignolo di “el mono” – “la scimmia” – a causa del suo aspetto fisico: lui stesso racconta divertito che uno degli allenatori avuti al Ferro, Carlos Griguol, voleva chiamarlo “gorilla”, ma vedendolo grande e grosso ebbe paura di una reazione contrariata ed attutì chiamandolo solo “scimmia”. Era un portiere tipico della scuola sudamericana dell’epoca, stile Higuita e Campos per capirci. O stile Hugo Gatti, il suo idolo. Posizionato generalmente fuori dai pali, bravo coi piedi tanto da correre rischi spesso fatali, come quando nel 1996 un altro portiere di simili abitudini, José Luís Chilavert, gli fece un gol da centrocampo.

Sensazionale nell’uno contro uno e specialista nel parare i calci di rigore, si perdeva però in errori banali che lo catapultavano sul banco degli imputati in occasione delle sconfitte delle sue squadre. L’apparenza non aiutava ad allontanare gli stereotipi, con il berretto a visiera, i capelli lunghi, le magliette dai colori sgargianti, le spericolate uscite per respingere la palla di testa o bloccarla di petto. Di carattere forte ed irruento, nel 1999 fu sanzionato con undici giornate di squalifica per aver rifilato un cazzotto ad un attaccante avversario. A quei tempi già giocava in Europa, precisamente nel Mallorca. La sua ultima stazione fu l’Atlético Madrid di Luís Aragonés, che con le sue parate (ed i gol di Fernando Torres) riportò in prima divisione.

Burgos difendendo i pali della nazionale argentina  (foto www.apiedepista.es)

Burgos difendendo i pali della nazionale argentina (foto www.apiedepista.es)

Fu in quegli ultimi anni che coincise in squadra (dopo averlo già fatto in nazionale) con Diego Simeone, iniziando una relazione di amicizia e di lavoro che ancora continua nonostante due caratteri completamente diversi. Il “Mono” Burgos è per il “Cholo” quello che Tito Vilanova fu per Pep Guardiola. È lui che si siede in panchina mentre l’head coach è in piedi nell’area tecnica, è lui che mantiene i rapporti con i calciatori e gli da la maggior parte delle indicazioni prima di mandarli in campo, è lui che prende appunti e studia gli avversari. Inoltre, con Tito Vilanova ha in comune molto di più che l’essere il secondo di un allenatore di successo. Ad inizio 2003, infatti, gli fu diagnosticato un cancro ai reni. A differenza dello sfortunato ex tecnico del Barça, scomparso recentemente, Germán Burgos ce l’ha fatta e ricorda quell’episodio della sua vita ogni giorno osservando l’enorme cicatrice che gli è rimasta dall’operazione.

Una esperienza che gli servì anche a capire quanto la gente del “Vicente Calderón” lo amasse. In pochi anni si convertì in idolo ed icona dell’Atleti, non solo eroe della promozione, ma anche di altre gesta, come un rigore parato a Luís Figo respingendolo con la faccia, finendo con l’essere l’uomo immagine delle campagne pubblicitarie biancorosse, menzionato addirittura nell’inno ufficiale del club, in coerenza con la figura di uno che ci mette sempre la faccia (anche letteralmente…) e che, da buon argentino, da il 100% in ogni partita. Fino all’epilogo segnato prima dalla malattia poi dalle incomprensioni con l’allenatore dell’epoca – Gregorio Manzano – e la società. Era il 2005 quando “el Mono” appese i guantoni al chiodo.

A differenza di molti colleghi, Burgos non soffrì l’uscita dal mondo dorato del calcio di alto livello. Perché la sua vita non era mai stata solo legata ai palcoscenici pallonari, ma anche ad altri scenari, visto che è un grande appassionato di musica rock, al punto di aver fondato una band chiamata “The Garb” (dalle iniziali del suo nome completo), aver pubblicato dischi ed essersi esibito in concerti pubblici sia in Argentina che in Spagna, ottenendo un discreto successo. Per non farsi mancar niente, fece anche da comparsa in film e videoclip, sfruttando al massimo il suo carattere estroverso e la sua immagine stravagante. Inoltre, tra la fine della sua carriera di calciatore e l’inizio di quella di allenatore, è stato opinionista televisivo e radiofonico e collaboratore del diario “Marca”.

Nonostante una vita tanto movimentata e ricca di interessi, però, i campi di calcio lo richiamarono presto in scena. Prese il patentino di allenatore, lavorò come allenatore dei portieri dell’Alcorcón, guidò il Carabanchel, quindi fu chiamato da Simeone per accompagnarlo nella sua prima esperienza europea, al Catania. Di lá un anno al Racing Avellaneda ed a fine 2011 il ritorno a casa, all’Atlético Madrid.
Il “Mono” Burgos è chi fa il lavoro sporco per conto dell’allenatore, chi tesse la tela delle relazioni tra i calciatori ed il tecnico, chi lo consiglia quando ha un dubbio, chi lo calma quando è troppo teso, chi prende appunti e si occupa di tattiche, posizionamenti, schemi. Ma neanche all’ombra del “Cholo” è riuscito mai a passare inavvertito. La figura atletica del portiere ha lasciato spazio alle rotondità di un uomo alto quasi due metri per oltre cento chili di peso. Lo spirito e la passione son, però, sempre gli stessi. Anche l’irruenza. Nelle risse o nelle discussioni a bordo campo c’è sempre lui, spesso per dividere i litiganti, a volte come protagonista diretto.

Come lo scorso anno, quando in un derby madrileno perse la pazienza di fronte al consueto atteggiamento irritante di Mourinho e gli si rivolse dicendogli «Yo no soy Tito. Yo te arranco la cabeza!»: «Io non sono Tito. Io ti stacco la testa!», in riferimento a quando Mourinho raggiunse Vilanova alle spalle e gli mise un dito in un occhio. Anche in questa stagione si è fatto notare “el Mono”, prima prendendo parte ed una rissa che gli costò diverse giornate di squalifica, poi, più recentemente, presentandosi in panchina con le nuove Google Glass al posto del consueto block notes. Sembrava una conversione alle new technologies, invece era una trovata pubblicitaria.

Insomma, se i “Colchoneros” alla fine di questa stagione alzeranno qualche trofeo, una buona fetta di merito sarà del “Mono” Burgos. Probabilmente il suo nome non apparirà sui giornali e non riceverà distinzioni individuali, ma sia Simeone che i tifosi dell’Atlético Madrid lo sanno e sapran render merito ad uno dei grandi idoli del “Vicente Calderón”.

 

Mario Cipriano