I campioni del Mondo cadono al primo turno. È la fine di un ciclo, ma non di un’era. Una nuova generazione è pronta a raccogliere l’eredità della “Roja”.

I calciatori spagnoli dopo la sconfitta contro il Cile  (foto www.heraldo.es)

I calciatori spagnoli dopo la sconfitta contro il Cile (foto www.heraldo.es)

Gli occhi di Xabi Alonso ieri sera al “Maracaná” al termine di Spagna-Cile raccontavano la verità sul crollo spagnolo: non trasparivano né rabbia né delusione, ma solo una melanconica tristezza. Con l’eliminazione della “Roja” campione di tutto finisce un ciclo vincente per un gruppo di calciatori unici. La tristezza di Xabi Alonso ci diceva questo, che per lui e per i ragazzi della sua generazione – i Villa, i Torres, Xavi – questo era il canto del cigno. Ed è stato il canto ronco e stanco di chi ha dato tutto e non aveva più le forze fisiche e mentali per ammaliare ancora. Però al di lá dei Pirenei c’è la consapevolezza che si è chiusa solo una tappa. Sia la squadra che la stampa si stanno unendo nel mantenere alta la bandiera di una filosofia calcistica che va al di lá dei nomi degli esecutori e va al di lá anche dei risultati.

La Spagna ha sofferto una delle cadute più rumorose della sua storia. E, attenzione, che di batoste ne han prese parecchie in un passato neanche tanto remoto. Ora è il tempo del silenzio, di incassare il colpo e le critiche, assimilare la sconfitta e riflettere. Magari salutare alcuni degli eroi di questo ciclo vincente, con tutti gli onori ed il riconoscimento del caso. Questa mattina i titoli andavano nella direzione giusta, riassunti in quello dell’editoriale del quotidiano “As”: “Non chiedete scusa. Vi dobbiamo tanto”.

Il crollo è stato forte, ma forse addirittura prevedibile: è la sindrome da pancia piena che fiacca quasi tutti, anche i migliori, anche il Barcellona ne ha patito gli effetti, così come li soffrì l’Italia dopo l’82, la Germania dopo il ’90, la Francia dopo le vittorie del 1998-2000 ed il Brasile dopo il 2002. È una malattia molto comune tra i vincitori, che colpisce lo spirito prima ancora che il corpo, che agisce contro la volontà. Perché, se è vero che chi ha vinto vuole ancora provare il sapore del trionfo, è anche vero chi ha mangiato a volontà può avere ancora fame, ma non sarà più affamato. È la differenza che sottolineavano i telecronisti spagnoli durante la debacle contro l’Olanda: quella tra chi ha fame e chi è affamato. La Spagna, dopo tanto rimpinzarsi, non è più affamata e gli stimoli per perseguire la vittoria con quella grinta e quella convinzione che li avevano caratterizzati negli anni scorsi non ci sono più.

L'Under-21 spagnola festeggia l'Europeo 2013  (foto www.futuroscracks.com)

L’Under-21 spagnola festeggia l’Europeo 2013 (foto www.futuroscracks.com)

Il tiki-taka, però, non è morto! Perché non è una corrente di pensiero pallonaro passeggera, ma una filosofia radicata alle fondamenta del movimento calcistico spagnolo. È cresciuta fin dai tempi in cui Raúl, Luís Enrique, Guardiola e De La Peña giocavano nelle giovanili e convertivano la “Furia Roja” degli Anni Ottanta al cruijffismo che predica possesso palla e pressing alto. A quella generazione mancava un punto di convinzione necessario ad andare oltre il vittimismo secolare che impediva alla nazionale di trasformare il lavoro ben fatto in vittorie, un ostacolo che si occupò di superare Luís Aragonés, completando (con data simbolica fissata al 22 Giugno 2008: Spagna vs Italia 4-2dcr) definitivamente il passaggio dalla furia al tiki-taka. Quel che è seguito – una sfilza di vittorie, record, celebrazioni in ogni angolo del pianeta – ne è stato solo la conseguenza. E la strada verso il futuro è spianata.


Infatti, al di lá dei successi della nazionale maggiore, le selezioni giovanili spagnole in questi anni stanno facendo incetta di vittorie e buoni piazzamenti in tutte le categorie di età. L’Under-21 è stata campione degli ultimi due Europei, sia quello di Danimarca 2011 che quello di Israele 2013 (in finale 4-2 all’Italia). Parte di quel gruppo già si classificò terzo ai Mondiali Under-17 del 2009, mentre nel 2007 la Spagna perse ai rigori la finale contro la Nigeria. E l’Under-19 è una macchina tritatutto che ha vinto 6 degli ultimi 11 europei, cui aggiungono un secondo ed un terzo posto. Senza dimenticare che l’Under-19 del Barça ha vinto la Youth League 2014.

La Nazionale spagnola U- del 2013  (foto www.goal.com)

La Nazionale spagnola U- del 2013 (foto www.goal.com)

È la generazione degli Álvaro Morata, Jesé Rodríguez, Thiago Alcántara, Oliver Torres, Illarramendi, Isco, Alberto Moreno, Muniain. Nomi che sono già stelle internazionali, che valgono decine di milioni di Euro sul mercato e giocano quasi tutti titolari nei migliori club del mondo. Alcuni sono già in Brasile con questa spedizione, come il portiere David De Gea ed il centrocampista Koke; o Deulofeu e Carvajal, lasciati fuori all’ultimo momento. In un contesto di una nazionale che già è giovane. Perché, ritiratisi i pionieri, la leadership passerà al gruppo degli ‘86-‘89 formato da Sergio Ramos, Piqué, Busquets e Fabregas, Mata, Silva e Pedro, Azpilicueta, Jordi Alba e Javi Martínez, per integrarsi con le nuove leve dell’Under-21 e con quelli che vengono da ancor più giù: Rubén Blanco, David Costas, Saúl Ñíguez, Sergi Samper, Adama Traoré, Santi Mina.

Insomma, dopo la grande abbuffata, la Spagna ha solo bisogno di un ricambio di ossigeno. La base c’è, retta su un lavoro meticoloso nelle “canteras” dei club, appoggiato dalla federazione nel dettare il camino da seguire, quello del possesso palla e della qualità. Oggi, nel giorno in cui Re Juan Carlos abdica, anche i campioni del calcio spagnolo passano la mano. Ma le radici del tiki-taka son forti ed il futuro della “Roja” è assicurato!

 

Mario Cipriano